Esempio di formattazione della tesi di laurea, Marco Lazzari

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1 Corso di Laurea Magistrale (LM) In Lingue, Economie e Istituzioni dell Asia e dell Africa Mediterranea Ordinamento ex. D.M. 270/2004 Tesi di Laurea Il settore tessile-abbigliamento in Cina, con repertorio terminografico Relatore Ch. Prof. Magda Abbiati Correlatore Ch. Prof. Franco Gatti Laureando Anna Zordan Matricola Anno Accademico 2017/ 2018

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3 Indice 前言... 5 Introduzione PARTE PRIMA La rilevanza del settore TA in Italia Cenni storici Caratteristiche dell'attuale settore TA italiano Presenza del settore TA italiano nel mercato globale Il settore TA in Cina L evoluzione del TA cinese Struttura e caratteristiche del settore TA cinese Competitività e presenza del settore TA cinese a livello globale Rapporti Italia Cina Import / Export Presenza del settore TA cinese in Italia Partecipazioni italiane in Cina nel settore TA La delocalizzazione produttiva come strategia di internazionalizzazione Il caso CAPE HORN Il Brand e l'evoluzione dell'azienda L'esperienza della delocalizzazione produttiva in Cina La nobilitazione tessile Definizione e rilevanza all'interno del ciclo produttivo Le fasi della nobilitazione tessile Fase 1: Preparazione Fase 2: Tintura Fase 3: Stampa Fase 4: Finissaggio Normative ed iniziative relative alla problematica eco-tossicologica nei processi di nobilitazione PARTE SECONDA SCHEDE TERMINOGRAFICHE GLOSSARIO CINESE-ITALIANO GLOSSARIO ITALIANO-CINESE Bibliografia

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5 前言 纺织服装行业 (TA) 向来是意大利制造在国际上最闻名的支柱行业之一 与之相关的威望让我们的半岛享有盛誉, 上乘的质量 优秀的技能以及发达的产业水平让我们有能力和其它国家竞争 该行业的极度重要性也体现在它和其它意大利经济部门之间联系紧密 : 事实上, 该产业链或多或少直接地涉及众多行业, 诸如化学, 机械, 农业, 种植, 运输, 印刷等等 因此纺织服装行业的发展走势对于整个国家的经济形势都有着重大影响 意大利中小型企业之间建立起的关系链带动了众多工业区的发展, 以及它们之间的互相协作, 并在整个组织结构里的每一个环节上都发展出得到认可的专业化水平, 进而在全世界范围内取得成功 近几十年来在国际贸易中, 意大利毫无疑问扮演着越来越重要的角色, 与其它国家的关系无论是合作还是竞争也变得越来越紧密 从一方面来说, 欧盟国之间相互结盟去面对来自东欧和亚洲的竞争对手, 这些竞争对手的优势在于廉价的劳动力和产品 ; 从另一方面, 也恰恰是这些竞争对手, 尤其是中国, 不停地抢占市场, 反过来也为许多欧盟国提供了有利可图的经济机遇 论文的第一部分致力于对在意大利和中国的纺织服装行业做平行分析, 首先介绍历史全貌, 然后聚焦于该行业在两国的独特特征, 以及近期内两国该行业在国际市场上的发展, 尤其是随着这种发展的不断壮大, 本身又不可避免地带来经济和政治上的影响 第一章节讲述了意大利纺织服装行业从上世纪七十年代至今的历史发展, 并指出 1974 年欧盟 美国和一些发展中国家签订 多种纤维协定 作为重要历史转折点 该协定规范了纺织服装行业的产品交易, 限制了向工业化国家的出口量, 是一次保护欧洲市场免受不公平和危险竞争的试验 5

6 此外, 在七十年代意大利纺织服装行业的重要性呈指数增长, 与此同时时尚作为一种工业产品诞生, 个性化的服装也满足了多样化顾客的不同口味 接着我将对分析和贸易余额相关的数据, 尤其是最近十五年来在新的竞争环境下以新的市场策略为基础的数据 为了充分理解该行业的经济发展状况, 有必要对意大利工业的组织结构进行介绍 : 因此一定的篇幅将用于描述产业链, 工业区等概念, 以及所涉及的意大利企业的特点 ( 规模, 地理位置分布, 专业化程度等等 ) 意大利纺织服装行业在男士和女士服装系列上都取得了巨大的成功, 因此论文中将引用一些在 2016 年更新的重要数据 作为第一章节的总结, 一定的篇幅将用于介绍意大利纺织服装行业在国际上的影响力 产品的输出让意大利在该行业拥有相当可观的销售额, 并在全世界范围内得到尊重 该行业与无数的供应商和客户建立了关系, 扩大了市场, 并传播了意大利制造的威望 在分析过程中一个有趣的现象是在 全球奢侈品牌百强 (Global Powers of Luxury Goods Top 100) 的榜单中, 意大利是拥有最多数量品牌企业的国家 第二章节致力于描述中国纺织服装行业的发展和现状 由于在七 八十年代国际贸易的日渐频繁, 该时期对中国纺织服装行业也具有着重要的意义 中国纺织服装行业的发展可以分为三个时期, 在此期间对于该行业重要性的认知在不断提高, 而政府也积极鼓励该行业加大产量, 进而扩大其在世界范围内的竞争力 期间中国政府的主要政策如下 : 六项优势产业 政策, 目的在于为企业加快现代化进程和加大生产量提供指导手段 (Qiu Dongxiao, 2005, pp. 3-4); 西部大开发计划 (2000) 和 中部崛起计划 (2004), 这两项经济政策旨在加快发展内陆地区以弥补其与沿海地区发展上的显著差距 ; 除此之外,2006 年 6 月, 政府推出 十一五 规划 ( ) 所有这些政策都在鼓励和扶持一个前所未有的产业发展前景 : 原材料的分配, 贷款的发放, 税收的减免, 先进技术的引进, 市场的进一步自由化 6

7 除此之外, 政府还推动中国品牌在海外的扩张, 以便在全世界范围内让中国纺织服装行业提高声誉 今天, 中国已经成为世界上出口数量最多的纺织品生产大国 在第二章节中, 我还描述了中国纺织服装行业的主要特点 : 持续升高的增长率, 不断扩大的国内需求, 东部地区的巨大投资 (Zhao Zihan, 2018, pp. 8-11), 高新技术纺织品行业的重要性 然而中国纺织服装行业内部也面对着许多艰巨的挑战, 例如棉花产业的发展, 或者关于环境保护方面的社会责任感, 工人的权利, 知识产权, 还有企业内部经营管理能力有待提高 (Zheng Ran, 2014, pp ; Green textile Responsible for the future, 2017, p. 15) 谈及中国纺织服装行业在国际市场上的形象, 就不得不提及所谓的 门户开放政策, 再由 走出去战略 进一步强化, 自 1999 年以来就提出了一个宏大的国际化蓝图 中国企业被鼓励加强海外投资, 走出国门, 通常是以直接投资海外或者参与公共建设为主的形式 随着 十一五 规划的出台在海外的投资总值达到了顶峰 : 在 进一步走出去 的战略指导下, 在 2012 年海外的投资总值达到了 772 亿美元 (What is meant by China's Go Out policy?) 最后, 自 2013 年以来, 进一步推动中国经济的扩张, 政府出台了 一带一路 倡议 : 丝绸之路经济带 和 21 世纪海上丝绸之路 第三章节重点阐述了意大利和中国在纺织服装行业上的经济往来关系 我分析了两国在进出口贸易上相关的数据, 尤其关注了从 2008 年开始至 2017 年第一季度这一时间段 除此之外, 我还介绍了和两国进出口贸易关系发展相关的外交动态 中国市场的扩张不可避免地给欧洲竞争者们带来了担忧, 而后者也采取了不同的防护措施以保护其商业贸易, 具体如下 :1 反倾销保障机制, 主要针对从第三方进口至欧盟内部的某些产品进行征税 ;2 特定产品过渡性保障机制( Transitional Product-Specific Safeguard Mechanism), 在确定或者潜在的危机情况下, 7

8 避免相似产品所带来的直接性竞争 ;3 特殊纺织品保障机制, 限制了从中国进口的纺织服装产品的数量 所有这些防护措施, 从一方面来说, 使一些产品得以自由化 ; 从另一方面来说, 也引起了争论和抗议, 但同时也刺激了企业去寻找新的市场和战略 中国的国际化进程如今已然开始了, 其影响已然表现了出来, 特别是从 1999 年到 2002 年期间 中国的纺织服装企业, 在 市场导向 战略的指导下, 目标瞄准了意大利, 并主要分布在伦巴第大区, 威尼托大区, 皮埃蒙特大区, 艾米利亚 - 罗马涅大区, 托斯卡纳大区, 而在意大利中南部大区的扩张也正在进行中 关于这方面我将提到华人社区主要聚集的有代表性的两座意大利城市 : 普拉托和米兰 最早的一批中国人在九十年代来到普拉托, 其中绝大部分均来自温州地区 就像 Dei Ottati 所描述的那样, 在普拉托的中国企业有一些可辨别的演变趋势 : 产业的多样化 ( 从服装业, 到整个纺织业, 再到零售和批发 ); 产品质量的优化 ; 在企业内外均和意大利合作伙伴保持着紧密关系 ; 和祖国持续保持商业往来关系 (Dei Ottati, 2015, pp ) 自八十年代中期以来, 米兰也成为了许多中国纺织服装行业工人的目的地 最初, 这些移民主要聚集于产业和制造业内, 但渐渐的他们发展出一种强大的企业家精神, 开设了许多零售店和批发中心 随着中国人商店数量不断增多, Via Paolo Sarpi 已经成为华人社区的心脏 就意大利自身而言, 目前也走在一条新的国际化道路上, 许多企业家面对中国正缓慢而谨慎地尝试采购和外包策略 位于意大利中北部的纺织服装企业数量比起意大利南部要多得多, 在 2015 年批发和零售是意大利企业家在中国开展的最大业务 我的注意力主要聚集在被定义为 产业非本地化 的国际化战略上 该战略尤其在从九十年代到二十世纪最初几年这段时期卓有成效, 主要采取两种不同的策略 : 市场导向 和 供应 成本导向 一个企业除了要选择合适的商业策略之外, 还必须针对市场可行性进行调研, 计算成本, 预估在东道主国家里 8

9 经济上和其它方面的困难, 了解东道主国家以潜在竞争对手的特点 ; 此外还要考虑到文化和语言上的障碍, 以及这种转移改变在当地消费者和原产地消费者之间所产生的影响 本章节的最后我引述了由卡普塔里亚集团开展的第九版制造型企业调查的结果 (Castellani, 2007, pp ) 该调查于 2004 年展开, 共涉及大约 5000 家意大利制造型企业 令我感兴趣的是那些企业在解释他们敢于冒险或者不愿意产业非本地化时所提及的动机 从这些结果中可以看出, 尽管意大利在现阶段的国际化进程中已然面对着诸多困难, 但是在经济利益方面的优势却是相当明显的, 同时对于在国内和国际水平上保持良好的竞争力也是相当有必要的 第四章节具体介绍了一家意大利企业作为例证, 这家企业诞生于阿尔多 维琴蒂诺地区的一个小镇上, 它成功地试验了产业非本地化的战略 这家名叫 Cape Horn 的企业, 以其所生产的服装既坚固 实用 功能性强, 又兼顾美学上的独特品味而闻名 为了深入了解 Cape Horn 这家企业的成长经历, 我多次联系并采访了该企业的首席执行官 Alessandro Ferrari 他和我分享了一家企业在一个只有几百人口的小镇诞生却逐渐走向越来越宽广的市场的整个心路历程 在非本地化的进程中该企业先是在东欧国家试验, 而如今 Cape Horn 已经将几乎全部的精力都投入到中国市场, 尤其在上海, 杭州 ( 浙江省 ), 南京 ( 江苏省 ), 宁波 ( 浙江省 ), 青岛 ( 山东省 ), 和大连地区 ( 辽宁省 ) 等等 整个采访都聚焦在几个关键点上 : 人力资源的管理, 物流, 以及管理层的运作 对 Cape Horn 的成功采访经历和该企业产品的质量都促使我进一步对该企业服装的高性能进行反思 相应地, 我在第五章节中便想要进一步分析为了获得拥有类似特征的产品所需要的技术性生产过程 我决定将我的注意力聚焦在纺织品整理工艺 ( 前处理, 染色, 印刷, 后整理法 ) 以及该阶段在整个生产流程中的重要性上 纺织品整理工艺对于产品的美学品味和功能性都积极重要 ; 因此常常使用化学成分和对人和环境具有潜在危害的物质 在第五章节的最后, 9

10 一定的篇幅将用于讨论在整理工艺所产生的和生态毒理学问题相关的法规和倡议 论文的第二部分致力于整理出一张术语分析表, 其中收录了关于纺织品整理工艺的行业术语 ( 第五章节 ) 在分析表中, 我将相关的意大利语术语和汉语术语一一对应起来, 并用双语给出定义和例证 紧接着是一张汉意意汉双向词汇表, 归纳了论文中所用到的术语 参考书目包括了来自意大利语和其它外语的文献资料, 是我能够完成论文的根基 10

11 Introduzione Il settore Tessile-Abbigliamento (TA) rappresenta da sempre uno dei pilastri più riconosciuti a livello internazionale del Made in Italy. Il prestigio ad esso collegato conferisce alla nostra Penisola una nota reputazione di alti livelli di qualità e competenza ed uno sviluppo industriale capace di competere con gli altri Paesi. Tale settore riveste estrema importanza anche perché in stretto rapporto con altri comparti dell'economia italiana: la filiera, infatti, coinvolge, in maniera più o meno diretta, numerosi settori quali quello chimico, meccanico, oltre alle industrie dell'agricoltura, dell'allevamento, della distribuzione, della stampa e non solo. Così l'andamento del TA porta notevoli conseguenze all'intera economia nazionale. La catena di rapporti instaurati tra le piccole e medie imprese italiane ha permesso l'evoluzione di numerosi distretti industriali, collaborativi tra loro, e lo sviluppo di una specializzazione riconoscibile in ogni anello della struttura organizzativa e di fondamentale importanza per il successo ottenuto a livello mondiale. La presenza italiana nel commercio internazionale è senza dubbio affermata da decenni e così si infittiscono anche le relazioni con gli altri Stati, in un clima di collaborazione e competizione. Se da un lato, infatti, i Paesi europei si alleano contro quei concorrenti dell'est Europa e dell'asia, forti per una manodopera a basso costo e prodotti a prezzi competitivi, dall'altro sono proprio questi ultimi, in particolar modo la Cina, a conquistarsi consistenti fette di mercato e ad offrire vantaggiose opportunità economiche a molti Stati europei. I primi capitoli di questo elaborato si pongono dunque l'obiettivo di analizzare parallelamente il settore italiano e cinese del TA, iniziando da una prima panoramica storica per poi focalizzarsi su quelli che sono i tratti distintivi dei due mercati e sulle relazioni instaurate più recentemente con i diversi Paesi, sottolineando come la presenza nell'arena internazionale abbia portato con sé inevitabili conseguenze economiche e politiche. 11

12 Il primo capitolo descrive il settore TA italiano concentrandosi sugli anni successivi al Settanta e indica come data di svolta il 1974 quando Unione Europea, Stati Uniti e altri Paesi in via di sviluppo firmano l'accordo Multifibre. Quest'ultimo regola lo scambio dei prodotti del settore TA, limita il carico delle esportazioni verso i Paesi industrializzati e si presenta come un tentativo di proteggere i mercati europei da quella che potrebbe facilmente diventare una competizione sleale e pericolosa. Nel corso degli anni Settanta, inoltre, si assiste ad una crescita esponenziale dell'importanza del settore TA in Italia, tanto che nasce la moda come prodotto industriale con capi personalizzati e adatti al gusto di una più eterogenea clientela. Vengono poi analizzati i dati relativi all'andamento della bilancia commerciale con maggior attenzione agli ultimi quindici anni, caratterizzati da nuovi concorrenti e nuove strategie di mercato. Per comprendere a pieno lo sviluppo economico del settore analizzato, può essere utile anche la descrizione dell'assetto organizzativo delle industrie italiane: un paragrafo è dunque dedicato alla descrizione della filiera industriale, del concetto di distretto e alle peculiarità delle imprese italiane coinvolte (dimensioni, collocazione geografica, grado di specializzazione eccetera). Il settore TA italiano ottiene un notevole successo in entrambe le collezioni dell'abbigliamento uomo e donna e per tale ragione vengono riportati alcuni dati significativi aggiornati al termine del A conclusione del primo capitolo vi è un paragrafo dedicato alla presenza del mercato italiano del TA nell'arena internazionale. Grazie alle esportazioni l'italia raggiunge un fatturato molto positivo e mantiene una posizione di rispetto a livello mondiale. Instaura rapporti con numerosi fornitori e clienti, ampliando i propri mercati e diffondendo il prestigio del Made in Italy. Interessante è stato analizzare la classifica "Global Powers of Luxury Goods Top 100", all'interno della quale l'italia detiene il primato per il numero di aziende presenti. Il secondo capitolo è dedicato all'evoluzione e all'attuale situazione del settore TA cinese. Gli anni Settanta e Ottanta sono stati molto significativi anche per la Cina grazie agli scambi con l'estero sempre più frequenti. 12

13 L'evoluzione del TA cinese può essere suddivisa in tre fasi e durante questi periodi la consapevolezza dell'importanza del settore TA aumenta ed il Governo si impegna attivamente per incoraggiare le industrie cinesi ad incrementare la produzione e diventare dunque competitive nel mondo. Alcune delle principali azioni del Governo cinese sono le seguenti: la politica delle "Sei Priorità" (Qiu Dongxiao, 2005, pp. 3-4), con lo scopo di fornire alle imprese i mezzi per avviare un processo di modernizzazione ed accrescere la capacità produttiva; le politiche economiche chiamate "The Great West Development" (2000) e "The Rise of the Central" (2004), mirate a sviluppare le regioni più interne per compensare quel dislivello evidente con le città costiere. Inoltre, nel giugno del 2006, lo Stato promuove l'xi Piano Quinquennale. Tali iniziative incoraggiano e forniscono i mezzi per uno sviluppo industriale senza precedenti: vengono distribuite materie prime, elargiti prestiti e concesse agevolazioni fiscali, introdotte moderne tecnologie, concesse maggiori libertà. Il Governo promuove inoltre l'espansione dei marchi cinesi oltre i confini nazionali cosicchè tutto il mondo riconosca alla Cina una posizione di prestigio nel settore TA. Oggi la Cina si presenta come il maggior produttore tessile con il più alto numero di esportazioni al mondo. All'interno del secondo capitolo ho descritto inoltre quelli che sono i principali tratti distintivi dell'industria del TA in Cina: costante tasso di crescita, continuo incremento della domanda interna, ingenti investimenti nelle regioni orientali (Zhao Zihan, 2018, pp. 8-11), importanza della più recente tech-textile industry. Tuttavia vi sono anche difficili sfide da affrontare all'interno del TA cinese come ad esempio lo sviluppo dell'industria del cotone o un maggior impegno relativamente alla responsabilità sociale al fine di tutelare l'ambiente, i diritti dei lavoratori, la proprietà intellettuale e per potenziare le capacità manageriali all'interno delle aziende (Zheng Ran, 2014, pp ; Green textile Responsible for the future, 2017, p. 15). Per quanto riguarda la presenza del settore TA cinese a livello globale, è indubbiamente necessario citare la cosiddetta politica della "porta aperta", oggi rafforzata dalla "Go out policy" che dal 1999 propone un ampio programma di internazionalizzazione. 13

14 Le aziende cinesi sono incoraggiate agli investimenti stranieri, sono spinte ad espandersi oltre i confini nazionali, spesso nella forma di FDI o di partecipazioni ad opere pubbliche. L'ammontare degli investimenti stranieri raggiunge l'apice grazie anche all'xi Piano Quinquennale: con la formula "Go further outwards" si raggiungono, nel 2012, 77.2 miliardi di dollari di investimenti stranieri (What is meant by China's 'Go Out' policy?). Dal 2013, infine, il Governo promuove l'iniziativa "One Belt One Road", finalizzata ad un'ulteriore espansione economica cinese sfruttando i passaggi lungo una " via della seta marittima" ed una "via della seta economica". Il terzo capitolo si concentra sui rapporti economici tra Italia e Cina nel settore TA. Vengono analizzati i dati relativi agli scambi import/export con particolare attenzione agli anni dal 2008 al primo semestre del Oltre a ciò, è stato interessante esaminare le dinamiche diplomatiche collegate all'evoluzione dei rapporti commerciali. L'espandersi del mercato cinese ha portato con sé inevitabili preoccupazioni da parte dei concorrenti europei, i quali hanno adottato diverse misure protezionistiche, usate come strumenti di difesa commerciale. Tra queste ultime ricordiamo le misure anti-dumping, basate su dazi imposti ad alcuni prodotti importati all'interno dell'ue da Paesi terzi; il cosiddetto TPSSM (Transitional Product- Specific Safeguard Mechanism) per proteggersi da prodotti simili o direttamente concorrenziali nei momenti di accertata o potenziale crisi; le clausole all'interno della "Salvaguardia speciale tessile" che limitano le quantità di prodotti del TA importati dalla Cina. Misure protezionistiche da un lato e liberalizzazione di alcuni prodotti dall'altro, fanno nascere polemiche, proteste ma stimolano anche le aziende a considerare nuovi mercati e nuove strategie. Il processo di internazionalizzazione della Cina è ormai avviato e si manifesta, in particolar modo, dal 1999 al Le aziende cinesi impiegate nel TA guardano all'italia perseguendo la strategia detta market-seeking e si distribuiscono principalmente in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana per poi espandersi anche nelle regioni dell'italia centro-meridionale. 14

15 A tal proposito, riporto le due realtà italiane in cui le comunità cinesi sono maggiormente presenti: Prato e Milano. I primi cinesi sono arrivati nella città di Prato verso gli anni Novanta e gran parte di essi proviene da Wenzhou. Come riportato da Dei Ottati, vi sono alcune tendenze evolutive riconoscibili nelle imprese cinesi di Prato: diversificazione delle attività (dalla produzione di abbigliamento, all'intero settore tessile, fino all'avviamento di negozi al dettaglio e all'ingrosso); miglioramento della qualità dei prodotti; ampliamento delle relazioni interne ed esterne alle imprese con uno stretto legame con i collaboratori italiani; continui rapporti commerciali con la madrepatria (Dei Ottati, 2015, pp ). Dalla metà degli anni Ottanta anche Milano rappresenta una meta per molti lavoratori cinesi impiegati nel TA. Inizialmente questi immigrati si concentrano in attività industriali e manifatturiere, ma negli anni sviluppano un forte spirito imprenditoriale ed aprono numerosi centri all'ingrosso e negozi di vendita al dettaglio. Via Paolo Sarpi è diventata il cuore della comunità cinese ed il numero di esercizi gestiti da cinesi è sempre più alto. Anche l'italia, dal canto suo, inaugura un nuovo processo di internazionalizzazione e molti imprenditori adottano, con relativa lentezza e cautela, strategie di sourcing e outsourcing verso la Cina. Le aziende del TA dell'italia settentrionale e centrale sono presenti in numero nettamente superiore rispetto a quelle dell'italia meridionale e nel 2015 la vendita all'ingrosso e al dettaglio risulta essere la maggiore attività avviata in Cina da imprenditori italiani. La mia attenzione si focalizza soprattutto su quella strategia di internazionalizzazione definita "delocalizzazione produttiva". Tale fenomeno si manifesta soprattutto tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila e segue, in genere, due diverse strategie: market-oriented e supply or cost-oriented. Oltre alla scelta della strategia da perseguire, un'azienda deve effettuare uno studio di fattibilità in cui calcola i costi, le difficoltà, economiche e non, riscontrabili nel Paese ospitante, le caratteristiche di quest'ultimo e la concorrenza presente; vanno inoltre considerate le barriere culturali, linguistiche e gli effetti che tale spostamento produrrà tra i consumatori locali e quelli del Paese d'origine. 15

16 Al termine del capitolo riporto i risultati della nona Edizione dell'indagine sull'imprese manifatturiere condotta da Capitalia (Castellani, 2007, pp ). L'indagine risale al 2004 e coinvolge circa 5000 imprese manifatturiere italiane. Interessanti sono state le motivazioni dichiarate dalle imprese per giustificare l'avvenuta o la mancata delocalizzazione produttiva. Da tali risultati è possibile affermare che nonostante l'italia riscontri ancora numerose difficoltà in questo processo di internazionalizzazione, i vantaggi, soprattutto economici, sono evidenti e sono necessari per mantenere un buon livello di competizione a livello nazionale ed internazionale. Il quarto capitolo porta in luce un esempio di azienda italiana, nata in un paese dell'alto vicentino, la quale ha sperimentato con successo la strategia di delocalizzazione produttiva. Presento dunque la ditta "Cape Horn", famosa per i suoi capi d'abbigliamento resistenti, pratici, funzionali e caratterizzati da un apprezzato gusto estetico. Per comprendere e descrivere al meglio la crescita e l'esperienza di Cape Horn, ho contattato ed intervistato più volte il CEO dell'azienda, Alessandro Ferrari. Egli ha condiviso con me il percorso di una azienda nata in un paese di poche migliaia di abitanti e poi cresciuta in un mercato sempre più ampio. Inizialmente delocalizzata nei Paesi dell'est Europa, oggi Cape Horn concentra la quasi totalità della produzione in Cina, soprattutto nelle città di Shanghai, Hangzhou (Zhejiang), Nanjing (Jiangsu), Ningbo (Zhejiang), Qingdao (Shandong), e nell'area di Dalian (Liaoning). L'intervista si focalizza su alcuni punti principali quali la gestione del capitale umano e l'organizzazione logistica e manageriale. Il successo ottenuto rapidamente da Cape Horn e la qualità dei suoi prodotti mi hanno spinta a riflettere sulle capacità prestazionali dei suoi capi d'abbigliamento. Di conseguenza, nel quinto capitolo ho voluto analizzare i procedimenti che permettono di ottenere prodotti con simili caratteristiche. Ho deciso quindi di focalizzare la mia attenzione sulle fasi della nobilitazione tessile (preparazione, tintura, stampa, finissaggio) e sull'importanza che essa ha all'interno del ciclo produttivo. La nobilitazione tessile altera le caratteristiche estetiche e funzionali del prodotto; per fare ciò vengono utilizzati elementi chimici e sostanze potenzialmente pericolose per l'uomo e per l'ambiente. 16

17 Al termine del capitolo cinque, ho dedicato un paragrafo alle normative ed alle iniziative collegate alla problematica eco-tossicologica derivata dalla nobilitazione tessile. La seconda parte della mia tesi è dedicata alle schede terminografiche in cui vengono riportati i termini settoriali utilizzati nella descrizione della nobilitazione tessile (capitolo 5). Per realizzare le schede, ho ricercato una corrispondenza tra i termini in italiano e quelli in cinese, inserendo definizione e contesto per entrambe le lingue. Segue un glossario cinese-italiano ed italiano-cinese che riassume i termini utilizzati. La bibliografia conclude il mio elaborato e riporta le fonti in lingua italiana e straniera, fondamentali per la realizzazione della mia tesi. 17

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19 PARTE PRIMA 19

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21 1. La rilevanza del settore TA in Italia 1.1. Cenni storici Il settore tessile si definisce come un'attività manifatturiera focalizzata sulla produzione e sulla lavorazione delle fibre tessili, realizzando prodotti che vanno a caratterizzare in particolar modo l'industria della moda, dell'abbigliamento e dell'arredamento. Indubbiamente il settore tessile è stato un cardine portante dell'economia italiana che ha saputo sfruttare e combinare le competenze dei lavoratori e le innovazioni del mercato. Gli anni Settanta hanno rappresentato un punto di svolta nell'industria tessile. Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta in Europa e negli Stati Uniti si sviluppa l'industria della moda, introducendo così prodotti meno standardizzati, in grado di soddisfare maggiormente la domanda da parte dei consumatori sempre più esigenti. Questi nuovi prodotti ad "elevato contenuto moda" hanno anche frenato la corsa dei concorrenti asiatici all'interno dell'arena del commercio internazionale, posticipando un'inevitabile competizione che farà da protagonista negli anni a seguire. Nel 1974 la Comunità Europea, gli Stati Uniti ed alcuni Paesi in via di sviluppo firmano l'accordo Multifibre con lo scopo di regolamentare gli scambi internazionali dei prodotti del settore tessile-abbigliamento. Vengono così stabilite delle restrizioni alle quantità di prodotti tessili che potevano essere esportate dai Paesi in via di sviluppo verso gli Stati industrializzati. L'accordo multilaterale ha permesso a questi ultimi di proteggere le loro merci e i loro mercati da concorrenti spietati, il cui vantaggio competitivo si basava sul prezzo nettamente inferiore. Tali limitazioni terminano il primo gennaio 2005 quando si impone lo smantellamento delle misure protezionistiche poiché in contrasto con i principi del libero scambio, sanciti dal GATT (General Agreement on Tariffs and Trade). L'eliminazione di tali accordi multilaterali porta con sé due principali fenomeni: da un lato abbiamo il cambio strutturale dei Paesi di più vecchia industrializzazione, alcuni dei quali hanno ridotto, talvolta drasticamente, la loro influenza internazionale nel settore tessile, introducendo nuove misure protezionistiche temporanee; altri, tra cui l'italia, hanno approfittato degli avvenuti cambiamenti 21

22 per potenziare e modernizzare la loro industria, aumentando la produttività, sviluppando il livello tecnologico ed esercitando una certa pressione sui governi per ottenere maggiori libertà. Dall'altro lato si registra una prevedibile crescita delle esportazioni tessili da parte dei Paesi emergenti, primo fra tutti la Cina. Dalla seconda metà degli anni Settanta e nel corso del decennio successivo si assiste in Italia ad un vero e proprio boom dei consumi, registrando una crescita di quelli privati del +49%, un aumento quasi raddoppiato (+98%) dei consumi del vestiario e delle calzature; mentre per quanto riguarda gli acquisti, la quota di spesa per l'abbigliamento è passata dal +8,3% del 1970 al +11,4% del 1980 (Ricchetti, Cieta, 2006, p. 23). L'interesse del consumatore verso nuovi prodotti, la concorrenza sempre più accanita e le innovazioni tecnologiche portano quindi alla realizzazione di capi personalizzati, meno standardizzati e sempre più lontani dai canoni tradizionali legati alla cultura sartoriale degli anni precedenti. Nasce così la moda come prodotto industriale, nonché il confezionamento in serie, aumentando la quantità e l'eterogeneità dell'offerta e avvicinando sempre più il consumatore al settore moda-abbigliamento. Negli anni a seguire si assiste ad una crescita globale del settore tessile, il quale riveste un ruolo dominante nel commercio internazionale. Le esportazioni crescono e la concorrenza assume dimensioni senza precedenti e così sempre più attori entrano in scena, portando con sé fin dall'inizio opportunità e minacce. Questa inarrestabile ed incontrollabile competizione porta conseguenze evidenti in Italia, come si può notare dalle oscillazioni del saldo commerciale del settore TA, in picchiata all'inizio del nuovo millennio (Fig. 1). 22

23 Fig.1 - Andamento della bilancia commerciale del settore TA in Italia (dati in migliaia di Euro) (Cia Diffusione, 2009, p. 12) Quello che si dipinge è un quadro negativo dovuto, in parte, alla forte competizione globale, in particolar modo a quella asiatica: la minaccia più sentita risiede nel basso costo della manodopera con un costo orario nettamente inferiore a quello italiano. Dall'altro lato troviamo gravose difficoltà date anche dalla struttura del sistema produttivo ed organizzativo italiano. Si tratta infatti di un complesso frammentario che necessita di nuove strategie per adattarsi al moderno panorama internazionale. Si nota dunque un'evidente e complessiva instabilità del settore TA italiano, giustificato anche dai cambiamenti economico-politici nel mondo. Tra tutti ricordiamo l'entrata nel 2001 della Repubblica Popolare Cinese all'interno della WTO (World Trade Organization), i cui effetti si riflettono negli anni successivi, quando la Cina ottiene sempre maggiori libertà e si fa spazio tra le grandi potenze. L'Italia avverte e risente subito delle principali minacce in arrivo, come i prezzi molto bassi, la gigantesca disponibilità della forza lavoro e la forte competitività cinese. Da qui la scelta di molte aziende di adottare nuove strategie, riorganizzando talvolta l'intero processo produttivo. Nuove competenze, avanzate tecnologie e medio-alti standard qualitativi sono le prerogative di molte aziende che ammettono ed accettano la sfida della globalizzazione dei mercati. Le maggiori perdite sono dovute alla crisi che ha investito gli operatori più piccoli, a monte del processo produttivo e coloro che svolgono la funzione di intermediari con la fornitura di materie prime, semilavorati e prodotti finiti. 23

24 Il 2006 sembra distinguersi per una fase di ripresa che si protrae anche nel corso dell'anno successivo, grazie soprattutto ai numeri positivi dell'export (Cia Diffusione, 2009, p. 13). Il cammino della ripresa si rivela meno faticoso per le medio-grandi imprese, mentre per quelle di più piccole dimensioni le difficoltà e il dispendio economico risultano nettamente più pesanti. I rapporti con i Paesi extra-europei diventano questioni vitali per molte aziende che sperimentano innovativi fenomeni strutturali che si riflettono nel sistema produttivo e nei nuovi orientamenti strategici, come vedremo in seguito. Prima di concludere la parte per così dire storica mi sento in dovere di citare il Gruppo Finanziario Tessile (GFT), tassello fondamentale nell'evoluzione del settore tessileabbigliamento italiano. Il GFT nasce ufficialmente nel 1930 dalla fusione della Fites (Finanziaria Tessile) e della "Anonima Donato Levi", con lo scopo di commercializzare tessuti e prodotti dell'industria della confezione in genere. Dal 1954 i fratelli Rivetti, Franco ( ), Silvio ( ) e Pier Giorgio ( ) diventano gli unici proprietari del GFT, distaccandosi così dal resto della famiglia in seguito a visioni manageriali differenti. I tre fratelli infatti vogliono sperimentare la produzione in serie con tessuti più leggeri, allontanandosi dai dogmi storici del mondo tessile biellese, luogo in cui era nato il loro impero e il loro successo. Lasciano l'abito sartoriale fatto su misura che richiede lunghi tempi di lavorazione e notevoli investimenti di denaro per sviluppare la cosiddetta "moda pronta", standardizzata, adattabile ai diversi gusti e stili dei clienti e alle differenti corporature. Si parla di una "rivoluzione delle taglie". Si contano infatti circa centoventi taglie a differenza delle venti taglie standard degli anni precedenti. Non cambia solo il modello dell'abito ma si studiano inoltre il prezzo e nuove strategie di marketing in modo tale da distribuire il prodotto su tutto il territorio italiano, soddisfando una clientela sempre più ampia. Per raggiungere ulteriori segmenti di mercato, l'azienda dei Rivetti collabora con celebri stilisti, quali Ungaro (1971), Giorgio Armani (1978) e Dior (1987). Cooperare con le grandi marche obbliga e stimola l'azienda a sviluppare la propria tecnologia e i propri macchinari, ottimizzando i tempi di produzione e migliorando l'organizzazione del lavoro. D'altro lato, anche gli stilisti ottengono dei considerevoli vantaggi: i loro abiti sono ora maggiormente commerciabili e accessibili al cliente che conosce e apprezza sempre più il prodotto di qualità; inoltre 24

25 la collaborazione con il GFT mette a disposizione delle griffes delle strutture commerciali più idonee ed affollate da una clientela eterogenea. L'interesse verso il mercato estero cresce notevolmente dagli anni Sessanta in poi: nascono la GFT Deutschland nel 1962, un anno dopo la GFT France, la GFT Britain e la GFT Nederland, avviate rispettivamente nel 1968 e Il Gruppo Finanziario Tessile decide di non delocalizzare totalmente la produzione ma di esportare il proprio know-how e di acquisire società di produzione estere. Nel 1987 i fratelli Rivetti firmano un accordo con la RPC per la creazione di una joint-venture nell'area di Tianjin che prevedeva la produzione di linee d'abbigliamento maschili. Il GFT assume indubbiamente una dimensione internazionale, risultando presente in oltre settanta Paesi: i Rivetti portano la moda italiana all'estero, diffondono la sigla "Made in Italy", adattano il prodotto al gusto ed ai valori dei nuovi clienti e rientrano con nuove competenze tecniche e approfondite conoscenze del mercato globale. Nel 2003 però sfocia in una profonda crisi che si traduce nella chiusura definitiva dell'azienda, protagonista di un significativo capitolo della storia del TA italiano (Gattullo, 2014, pp. 5-14) Caratteristiche dell'attuale settore TA italiano Oggi il settore TA italiano presenta una crescita cauta ma incoraggiante che permette di essere fiduciosi verso il futuro, nonostante si registrino ancora dei dati negativi che rallentano l'operato. All'inizio del 2017 il consumo apparente, 1 ad esempio, appare in rialzo rispetto al biennio precedente e sembra proseguire la sua risalita fino ad una quasi totale stabilizzazione. 1 Ammontare di un determinato prodotto consumato all interno di un Paese, proveniente da produzione nazionale o da importazioni. Può essere ottenuto come residuo sottraendo la produzione interna esportata dalla somma di produzione interna e produzione estera importata (Papa, 2006, p. 44). 25

26 Fig. 2 - L'industria italiana del Tessile-Moda ( *) (valori in milioni di Euro) (L'industria italiana del tessile-moda. Pre-Consuntivi 2017 e scenario 2018) *stime Confindustria Moda-LIUC Come mostra la Figura 2, il totale delle vendite raggiunge stime soddisfacenti e così il saldo commerciale può tornare a prosperare, con la speranza di registrare variazioni favorevoli anche per quanto riguarda il numero delle aziende operanti e quello dei lavoratori. Focalizzandoci ora sul fatturato del settore TA italiano notiamo che gli ultimi anni seguono un trend moderatamente positivo che sembra proseguire nel 2018, coinvolgendo entrambi i macro-comparti del settore (Fig. 3). Fig.3 Tessile-Moda: scenario primo semestre 2018 (Var.% tendenziali) (L'industria italiana del tessile-moda. Pre-Consuntivi 2017 e scenario 2018) 26

27 L'assetto organizzativo delle aziende italiane del settore TA si sviluppa rapidamente e oggi appare pienamente integrato a livello globale e investito quasi interamente dalla globalizzazione. Nel mondo l'italia è conosciuta per la qualità dei suoi prodotti, la tecnologia dei macchinari, la capacità di rinnovamento e adattamento alla domanda, oltre che per la riconosciuta creatività ed originalità. Queste caratteristiche si combinano all'interno della struttura specifica del settore TA italiano che si presenta particolarmente attivo nel centro-nord del nostro Paese. La concentrazione distrettuale si posiziona principalmente in Lombardia, nello specifico nelle province di Milano, Bergamo, Como, Brescia e Varese, e in Veneto, dove Vicenza e Treviso presentano un numero sostanzioso di aziende e industrie. Anche Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna e Trentino Alto Adige sono sviluppate nell'ambito del settore TA (Dunford, 2006, p. 35). Ciò che accomuna queste imprese italiane non si limita soltanto alla loro posizione geografica, ma anche alla loro disposizione in distretti industriali o gruppi di distretti. Questo tipo di assetto organizzativo è proprio una delle chiavi del successo del settore TA italiano nel mondo. Posizionare dei distretti significa tessere fitte reti di relazioni economiche e sociali tra le piccole e medie imprese che ne fanno parte, le quali si concentrano su una o più fasi del processo produttivo. Si instaura dunque una base di fiducia reciproca tra più attori disposti in località particolari, in cui si sviluppa "un'atmosfera industriale" (Bottinelli; Pavione, 2011, p. 12), dove organizzazione e collaborazione diventano caratteristiche indispensabili e necessarie. E interessante notare come all'interno di questi distretti vi sia poi un binomio vincente di cooperazione e concorrenza che produce stimoli tesi verso una maggiore efficienza produttiva e impegnati per una sempre più tecnologica innovazione. In Italia il riconoscimento dello stato giuridico di "distretto industriale" è ottenuto con la legge numero 317 del 5 ottobre del 1991, "Interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese". 2 Si definisce il concetto di distretto e seguono le caratteristiche ad esso collegate, con uno specifico rimando al rapporto tra aziende e residenti, tra realtà industriali e commerciali, tra imprese artigianali e servizi, sottolineando come 2 LEGGE 5 ottobre 1991, n GU Serie Generale n.237 del Suppl. Ordinario n. 60. Entrata in vigore della Legge

28 tutte le cellule territoriali debbano relazionarsi e collaborare. In seguito alla promulgazione della legge n.140 del maggio del 1999, "Norme in materia di attività produttive" (Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 1999, p. 9), il distretto industriale acquista la connotazione di "sistema produttivo locale" caratterizzato da "un'elevata concentrazione di imprese industriali e un'elevata specializzazione produttiva dei sistemi di impresa". La specializzazione del settore TA italiano è una caratteristica storica del nostro sistema di imprese. Si parla di una specializzazione in un particolare settore o in un determinato processo produttivo che si integra poi nella più ramificata struttura, vantando di una sinergica collaborazione tra i diversi attori in scena. Questa competenza è resa possibile anche dalla composizione dell'intero impianto in esame. In Italia infatti vi è una nota predominanza di piccole e medie imprese (PMI), con un numero di dipendenti che varia in genere dai 10 ai 20 lavoratori. Ogni azienda contribuisce con propri macchinari, specifiche capacità innovative e creative e un distintivo know-how. D'altro lato però sono le piccole e medie aziende, con limitati finanziamenti, ad accusare maggiormente il colpo dei nuovi competitors mondiali. La forte competizione provoca infatti gravose crisi all'interno di molte PMI italiane che devono spesso affrontare una duplice sfida: una crisi finanziaria interna e una feroce globalizzazione economica, in cui la concorrenza attacca violentemente. Nonostante vi siano delle agevolazioni, degli incentivi e degli interventi a pioggia verso le PMI, la situazione rimane comunque allarmante in quanto appare evidente che il settore TA dipende in larga misura da tali aziende. In generale, si può sostenere che le difficoltà maggiori delle PMI italiane si associano ad una domanda sempre più differenziata ed esigente, ritmi di produzione troppo lenti e budget familiari talvolta limitati per concorrere in un'arena più vivace ed affollata. Indubbiamente vi sono poi numerose aziende italiane proprietarie di grandi marchi le quali, sebbene rappresentino una minoranza nel numero di imprese totali, portano la qualità dei prodotti nazionali in tutto il mondo, aumentando notevolmente l'ammontare del fatturato italiano. Tra questi ultimi ricordiamo Benetton, Gucci, Ermenegildo Zegna Group, Gruppo Marzotto spa, Prada. 28

29 Le citate caratteristiche del nostro settore TA si ritrovano, e devono essere presenti, in ciascun tassello della cosiddetta "filiera". E' errore troppo comune pensare che il settore TA si circoscriva nella semplice fornitura del prodotto finito; di fatto il sistema è assai più complesso e ramificato. Con il termine "filiera" si intende l'insieme dei processi industriali ed organizzativi che strutturano la progettazione del bene, provvedono alla fornitura delle materie prime e gestiscono la realizzazione, il confezionamento, la distribuzione e la vendita del prodotto finito. Vi sono inoltre altri attori che operano al di fuori dei confini del mero ciclo produttivo quali la stampa, la pubblicità, i media, le associazioni (ATI - Associazione Tessile Italiana, SMI - Sistema Moda Italia e altre), le diverse Aree Strategiche, le società e gli enti collegati (EFIMA - Ente Fiere Maglieria e Abbigliamento, EMI - Ente Moda Italiana ecc.), per non dimenticare le collaborazioni per lo svolgersi di fiere, sfilate e manifestazioni in Italia e nel mondo (Chirico, 2005, pp ). Infine l'intera filiera si appoggia ad ulteriori settori di supporto: le industrie dell'agricoltura e dell'allevamento forniscono le materie prime naturali, mentre l'industria chimica provvede alle fibre chimiche; il meccano-tessile equipaggia la produzione con macchinari ed impianti; le industrie del terziario e della distribuzione promuovono e diramano il prodotto finito affinché arrivi al consumatore finale (Fig. 4). Fig.4 La filiera del TA italiano (Saviolo, Testa, 2005, p. 46) 29

30 Per comprendere in linea generale l'assetto della filiera italiana del TA si possono distinguere i processi a monte e a valle del ciclo produttivo. Le prime raggruppano tutte quelle azioni che portano alla realizzazione di semilavorati, i quali confluiscono poi nelle fasi a valle in cui si completa la produzione e si procede con il confezionamento, la distribuzione e la vendita del prodotto finito. Vi è poi un'ulteriore distinzione all'interno della filiera TA: settore delle fibre, settore tessile (comparto laniero, cotoniero e liniero, serico, nobilitazione, tessuti vari e prodotti tecnici), settore abbigliamento (comparto abbigliamento in tessuto, in maglia e calzetteria). Ogni filiera si divide quindi in diverse fasi e in distinti cicli di lavorazione che costituiscono veri e propri reparti, frammentati ulteriormente al loro interno in base al genere di prodotto e alla relativa fascia di prezzo. Il timing non è lo stesso per ogni fase e comparto della filiera: le scadenze di presentazione dell'offerta variano infatti per ciascun comparto. Una prima tempistica è determinata dallo studio di materiali, trame e colori da parte dei produttori di filati, i quali operano all'incirca due anni prima che il prodotto venga messo a disposizione del cliente finale. Vi è poi una prima presentazione di tessuti, fibre e filati in occasione di eventi quali Pitti filati, Modaprima o ancora la parigina Expofil. Una seconda proposta viene organizzata l'anno seguente all'interno di altre manifestazioni (Pitti Uomo di Firenze, Milano Collezioni uomo/donna), dove il prodotto finito è visibile. Infine inizia la distribuzione ai punti vendita italiani e stranieri. I recenti cambiamenti del mercato influenzano pesantemente il timing della filiera (Chirico, 2005, pp ). La coordinazione, la cooperazione e la trasparenza delle informazioni sono indubbiamente parti essenziali all'interno della filiera. Le piccole e medie dimensioni della maggior parte delle aziende italiane e la menzionata impostazione distrettuale conferiscono efficienza e funzionalità alla filiera stessa. Ogni protagonista, specializzato in una fase del ciclo produttivo, assicura una certa flessibilità e capacità di modificare le proprie azioni in base al mercato e alle esigenze dei collaboratori. Quando il rapporto che si instaura tra gli attori delle diverse fasi del processo è stabile e fondato sul reciproco sostegno, il valore aggiunto del prodotto aumenta notevolmente e si riflette nel fatturato di ogni singolo membro. 30

31 Il settore TA italiano si afferma in entrambe le collezioni, sia femminili che maschili. La moda Donna ha da sempre rivestito un ruolo estremamente importante, caratterizzandosi da un noto dinamismo anche nel commercio con l'estero. Nel 2016 la moda femminile rappresenta una fetta consistente dell'intera filiera tessile-moda italiana, garantendo il +24,5% del fatturato complessivo (Fig. 5). Dal 2014 al 2016 è possibile tracciare nell'insieme un andamento positivo del comparto in esame, tanto da avvicinarsi ai 13 miliardi di Euro, cifra raggiungibile grazie soprattutto alle vendite all'estero (La moda femminile italiana nel , 2017). Fig.5 Il ruolo della Moda Femminile nella filiera Tessile-Moda italiana nel 2016 (% sul fatturato) (La moda femminile italiana nel , 2017) Analizzando brevemente ora anche il reparto Moda maschile è evidente che gli anni dal 2014 in poi esprimono un carattere vivace, non privo però di problematicità. In termini di fatturato il 2016 supera la soglia dei 9 miliardi di Euro e i dati ad oggi disponibili prevedono per l'anno in vigore un incremento positivo del +2,1%, corrispondente ai quasi 9,2 miliardi di Euro (Fig. 6). La spinta più decisiva deriva dalle dinamiche con l'estero, un successo che corrisponde al 17% del turnover totale prodotto dall'intera filiera tessile-moda italiana e al 27,3% della fetta abbigliamento (La moda maschile italiana nel , 2018). I maggiori clienti dell'industria della Moda 31

32 maschile italiana risultano essere Germania, Francia e Regno Unito, mentre tra i principali fornitori vi sono Cina, Bangladesh e Romania (quest'ultima riporta una quota in calo, corrispondente al solo 6,4% soprattutto se paragonata al 20,5% di quota cinese). Fig.6 L'industria della Moda Maschile italiana ( *) (Milioni di Euro correnti) (La moda maschile italiana nel , 2018) *-Stime 1.3. Presenza del settore TA italiano nel mercato globale Il saldo commerciale e l'analisi del fatturato evidenziano come il settore TA italiano dipenda in larga scala dal commercio con l'estero. L'internazionalizzazione dell'industria italiana tessile e dell'abbigliamento-moda, iniziata tra gli anni Settanta e Ottanta, è oggi consolidata e riconosciuta a livello mondiale, portando la propria immagine e il prestigio del Made in Italy oltre i confini nazionali. Indiscutibilmente l'italia è conosciuta nel mondo per la qualità dei suoi prodotti che si posizionano tra la fascia media e medio-alta, definiti beni ad alto contenuto creativo e tecnologico. L'export dei prodotti del settore TA ha spinto con grande forza il Belpaese ad uscire dalla pesante crisi economica, finanziando l'acquisto di molte materie prime di cui è carente. Tra il 2016 e il 2017, il saldo è cresciuto di circa 183 milioni di Euro, considerando i primi sei mesi di ciascun anno, raggiungendo i 5,6 milioni (Fig. 7). 32

33 Fig.7 Il commercio estero dell'industria Tessile-Moda italiana (Periodo: gennaio-luglio 2017) (Il settore Tessile-Moda italiano nel 2017, 2017) Nel 2017, la presenza del settore TA italiano si manifesta nel mondo con vivacità, proteggendo i rapporti con clienti e fornitori, come confermano le tabelle 8.1 e 8.2 di Figura 8. Fig.8 Il commercio estero del Tessile-Moda: analisi per Paese (Gennaio-luglio 2017) (Il settore Tessile-Moda italiano nel 2017, 2017) Tabella 8.1 Le importazioni Tabella 8.2 Le esportazioni 33

34 Il commercio con l'estero risulta, come già sottolineato, più attivo con le esportazioni che nella prima metà dell'anno passato sfiorano i 18 miliardi. I prodotti italiani del TA sono distribuiti in numero simile tra i Paesi dell'unione Europea e quelli Extra UE. Si registra un export in aumento verso numerosi Paesi tra i quali notiamo una cifra importante che tocca i 591 milioni della Russia con un incremento di variazione pari al +13,4%, segue la Cina (+11,5%), poi Polonia (+11,2%) e ancora clienti come Spagna (+5,7%), Belgio (+4,7%), Regno Unito (+3,8%), Hong Kong (+1,4%) ed infine Germania (+1,0%) e Svizzera (+0,1%). Negativi sono invece i dati export registrati per altri clienti e tra questi Paesi Bassi, Romania e Turchia hanno sofferto maggiormente (Il settore Tessile-Moda italiano nel 2017, 2017). Analizzando ora le cifre relative alle importazioni, la Tabella 8.1 mostra i principali fornitori dei prodotti del tessile-moda. Tra i cosiddetti main suppliers, il primo posto è indiscutibilmente occupato dalla Cina che con i suoi 2 miliardi e 528 milioni di Euro di prodotti TA venduti all'italia crea un distacco di milioni dal fornitore francese. L'Italia nel 2017 ha aumentato le importazioni da altri Paesi Extra Europei, quali Bangladesh (che si posiziona al quarto posto tra i maggiori fornitori, con una quota pari al 6,5%), India e Pakistan (Il settore Tessile-Moda italiano nel 2017, 2017). Anche nel corso della seconda metà del 2017 i flussi commerciali sono in aumento, con un'evidenza maggiore sempre nelle esportazioni. Questi dati sottolineano come le aziende del Tessile-Moda-Abbigliamento abbiano riorganizzato efficacemente il loro assetto interno per posizionarsi nel mercato globale contrastando la feroce competizione e globalizzazione. L'abilità notevole delle industrie italiane si riflette nella capacità di sfruttare le nuove opportunità offrendo con costanza prodotti di buona qualità, proponendo diverse fasce di prezzo in modo tale da attrarre più target di consumatori. Nella classifica mondiale del lusso e della moda, l'italia è presente con ventisei aziende su cento players totali, detenendo il primato per numero di aziende. Due terzi di queste, presenti nella Top 100, inoltre, operano nel settore dell'abbigliamento e delle calzature e metà dei nomi collegati al settore borse ed accessori sono nuovamente italiani. I protagonisti italiani sono indubbiamente numerosi, soprattutto se confrontati con la cifra collegata agli altri Paesi: Stati Uniti si presentano con 15 aziende, Francia, Regno Unito e Svizzera con 10, Cina/Hong Kong, Germania e Spagna rispettivamente con 7, 6 e 4 (Fig. 9). Tre sono i principali colossi italiani: Luxottica, posizionata al quarto 34

35 posto, è l'unica azienda italiana tra le top 10, con ricavi superiori ai 9 miliardi di Euro; Prada, in diciassettesima posizione, con circa 3,9 miliardi di Euro; Giorgio Armani, ventunesimo, con poco meno di 3 miliardi di Euro, che nel 2017 registra una crescita del +4,6% rispetto al Altri grandi nomi nella graduatoria mondiale sono i seguenti: OTB SpA 3 (28^ posizione), Salvatore Ferragamo SpA (33^ posizione), seguito subito dopo da Max Mara Fashion Group Srl e Ermenegildo Zegna Holditalia SpA, Safilo Group SpA (37^ posizione), Dolce&Gabbana S.r.l (39^ posizione), TOD'S SpA, Valentino Fashion Group SpA, Moncler SpA, Gianni Versace SpA e altri (Arienti, 2017, pp ). Secondo il "Global Powers of Luxury Goods 2017 The new luxury consumer" di Deloitte (Arienti, 2017, p.20), 4 l'italia occupa anche il primo ed il secondo posto sul podio della classifica 20 Fastest-growing luxury goods companies, FY CAGR (Compound Annual Growth Rate). La medaglia d'oro è attribuita a Marcolin Group, azienda leader di occhiali (seconda solo a Luxottica), con un tasso annuo di crescita composto del 43,1%, seguita da Valentino Fashion Group SpA, il cui CAGR ammonta a 37,8%. Altre grandi marche italiane rientrano nella classifica: Moncler SpA, Furla SpA (entrambe nella top 10), Vicini SpA e Gianni Versace SpA. Deloitte fornisce poi una breve descrizione delle performances italiane e riconosce il prestigio affermato dell'etichetta "Made in Italy", definita come un powerful branding tool, uno strumento potente per i marchi dei beni di lusso, un riconoscimento di garanzia e qualità. Questi attributi conferiscono alle aziende italiane, operanti nel settore TA, una consolidata reputazione che viene tramandata da generazione a generazione. Nelle considerazioni di Deloitte viene sottolineato un altro denominatore comune di molti giganti italiani della moda, ovvero il carattere familiare. Venti aziende su ventisei presenti nella citata classifica, infatti, devono la loro fondazione ad una o più famiglie che mantengono la proprietà e/o la gestione, spesso battezzando la ditta con il proprio cognome (Arienti, 2017, p. 36). 3 OTB SpA è presente con marchi quali Diesel, Maison Margiela, Viktor&Rolf e Marni. 4 Deloitte Touche Tohmatsu, chiamata anche Deloitte & Touche, azienda statunitense con sede a New York, fondata da William Welch Deloitte e George Touche. Si occupa di servizi di revisione contabile e consulenza fiscale e legale. Rientra nelle cosiddette "Big Four", i quattro colossi mondiali nel campo della revisione. Si tratta dell'azienda con i maggiori ricavi e il più alto numero di professionisti al mondo. 35

36 36 Fig.9 Analisi Geografica dei Paesi presenti nella classifica "Global Powers of Luxury Goods Top 100" di Deloitte (Arienti, 2017, p.33)

37 2. Il settore TA in Cina 2.1. L evoluzione del TA cinese Il settore Tessile-abbigliamento rappresenta da sempre un pilastro nell'industria cinese, tanto da costituire l'industria manifatturiera più vasta del Paese e con il maggior numero di esportazioni al mondo. L'anno 1979 segna una svolta e spinge la Cina ad una "rivoluzione economica", non esente da numerosi e continui riaggiustamenti. Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta si evidenziano nuovi ed importanti scambi con l'estero. Nello stesso anno vengono istituite le prime ZES, Zone Economiche Speciali, presso le municipalità di Shenzhen, Zhuhai e Shantou (tutte situate nella provincia meridionale del Guangdong), con lo scopo di incoraggiare i finanziamenti e gli investimenti stranieri in Cina. Ancora ricordiamo la nuova "politica della porta aperta" che dal 1979 al 1999, attira in Cina un terzo degli investimenti esteri su scala mondiale. La progressiva liberalizzazione dei prezzi concede maggiori libertà alle imprese individuali, sia a livello gestionale che produttivo. Il nuovo sistema fiscale modifica ulteriormente il settore industriale che ora può ottenere finanziamenti dalle banche e non più dallo Stato che perde, in parte, controllo ed influenza. L'ondata di cambiamenti e riforme spinge e, di riflesso, riceve un decisivo impeto dall'industria TA cinese che proprio in questi anni subisce significativi mutamenti. Si può suddividere la storia del settore TA cinese in tre fasi distinte (Zhang Miao, Kong Xin Xin, Ramu, 2015, pp. 1-2). La prima viene definita come il periodo pre-riforme ( ): in questi decenni emerge timidamente la consapevolezza della potenzialità del settore ma di fatto le tecnologie a disposizione sono ancora troppo antiquate rispetto a quelle già in uso negli altri Paesi; le capacità manageriali sono poco sviluppate, le materie prime scarseggiano, i macchinari vengono perlopiù importati e così la produttività galleggia su onde molto basse. I maggiori sforzi vengono investiti nell'industria pesante, considerata una forza maggiormente strategica per entrare nel commercio internazionale. Nonostante tutto però, il settore TA dimostra una grande forza e riesce ad incrementare la produzione in alcuni compartimenti, in particolare quello della produzione del cotone e della lana, lavorati con il processo di filatura con il fuso. 37

38 Durante questa prima fase si manifestano gli sforzi volti ad avviare una trasformazione dell'intero settore che gradualmente lascia le vecchie vesti per rincorrere la scia della modernizzazione. Il secondo periodo va dal 1979 al 2000: in questi decenni si attua la vera e propria transizione che sfocia nell'epoca d'oro del tessile e dell'abbigliamento. In seguito alle riforme economiche e all'adozione della politica della porta aperta, il governo sceglie di focalizzarsi su questo settore. Le ragioni alla base di questa scelta sono svariate: la Cina vanta un'esperienza centenaria nel campo del tessile-abbigliamento e poggia su infrastrutture già operanti che necessitano solo di una maggiore specializzazione e di basilari tecnologie. Il settore TA inoltre si caratterizza come un settore ad alta intensità di lavoro e quale Paese meglio della Cina può disporre di una popolazione così numerosa, equivalente ad una forza lavoro senza paragoni. Così il governo lancia la cosiddetta politica delle "Sei Priorità", concedendo alle industrie materie prime, vantaggiosi prestiti bancari, favorevoli prezzi di cambio, maggiore autonomia e i mezzi per importare tecnologie e avviare un processo di modernizzazione (Qiu Dongxiao, 2005, pp. 3-4). Forniti i mezzi, l'obiettivo viene rapidamente raggiunto: la capacità produttiva del tessile raggiunge cifre da primato e l'abbigliamento cresce al punto che, al termine del 2000, un quinto del mercato globale è assorbito da produttori cinesi i cui capi sono presenti in oltre 220 Paesi/regioni (Zhang Miao, Kong Xin Xin, Ramu, 2015, p. 1). Da questo momento in poi, la Cina pone particolare attenzione alle esportazioni, sempre più in crescita grazie alla liberalizzazione dei mercati e all'entrata della Cina nell'organizzazione mondiale del commercio, formalizzata nel Per quantificare la dinamicità della crescita del settore TA cinese si può osservare la tabella di figura

39 Fig.10 Principali indicatori economici dell'industria cinese del TA 5 (Qiu Dongxiao, 2005, p. 4) Fatta eccezione per l'anno 1998, reduce dalla crisi finanziaria asiatica, il quinquennio rimanente evidenzia una forte crescita in cui il valore totale aumenta in media del +7% ogni anno. I ricavi netti passano da 3.65 miliardi di Yuan nel 1997 a miliardi di Yuan nel 2002, moltiplicando così quasi di dieci volte i profitti. Non passa inosservato il totale degli occupati nel settore che decresce di circa 2.8 milioni di persone; tuttavia questo calo si può tradurre in una maggiore efficienza e produttività del personale. La terza fase inizia con il nuovo millennio e si protrae fino ai giorni nostri. Apre dunque questo periodo la già ricordata annessione della Cina alla WTO (2001), il primo di una lunga serie di accordi firmati negli anni Duemila che vanno a sancire e regolare gli scambi cinesi con i Paesi di tutto il mondo. Il Governo comprende che non basta avviare una solida industria per competere a livello internazionale e sopravvivere alla competizione mondiale, bensì è necessario fornire prodotti ad alto valore aggiunto, con marchi e caratteristiche prontamente riconoscibili nel mercato. Tra gli obiettivi principali interpretiamo quello di espandere la produzione ma anche quello di accettare le numerose sfide al fine di costruire un impero industriale a lungo termine, capace di realizzare prodotti concorrenziali, originali e ad alto contenuto tecnologico. Il successo di questi tentativi di crescita sono ad oggi tangibili: la Cina si posiziona primo esportatore di prodotti del tessile-abbigliamento, settore che costituisce oltre il 20% dell'export totale cinese (Qiu Dongxiao, 2005, p. 2). Infine notiamo un altro cambiamento avvenuto nella composizione dell'industria del TA cinese in quest'ultimo periodo. In particolar modo parliamo di localizzazione dei 5 I dati statistici riferiti all'anno 1997 comprendono i dati registrati nelle città. I dati degli anni dal 1998 al 2000 includono SOEs (State-Owned Enterprises) e Non SOEs con ricavi superiori ai 5 milioni di Yuan. 39

40 protagonisti del settore: inizialmente le imprese erano presenti lungo le coste delle principali città ad Est e Sud-Est del Paese, dove sorsero le prime ZES e dove gli scambi commerciali con l'estero erano geograficamente e politicamente più vantaggiosi. Recentemente invece si palesa una mutazione nella distribuzione geografica e molte industrie sorgono più nell'entroterra, al centro del Paese e alcune si spostano fino a raggiungere le zone più occidentali. Questa migrazione è incoraggiata dalle politiche di risollevamento e ricostruzione regionale, con l'obiettivo di incrementare ulteriormente la produzione nazionale e risolvere le difficoltà causate dalle disparità economiche regionali (Qiu Dongxiao, 2005, p. 16). "The Great West Development" ( 西部大开发 xībù dà kāifa) ne è un esempio: si tratta di una politica economica per equilibrare il dislivello tra le regioni costiere e quelle più interne. Questa pratica, presentatasi anche in passato sotto denominazioni differenti, si ripresenta con forza nel 1999, quando il Governo è deciso ad accelerare lo sviluppo delle province più centrali ed occidentali. Il Consiglio di Stato promuove delle misure ufficiali nell'ottobre del 2000, fornendo ai nuovi protagonisti strumenti fortemente proficui: agevolazioni fiscali come riduzioni e/o esenzioni di tasse, ingenti capitali sotto forma di investimenti nazionali, progetti di costruzione di infrastrutture, protezione ambientale, sanità; forme di supporto finanziario; politiche guida per proteggere gli investimenti privati e stranieri, per incoraggiare le aziende ad assumere personale qualificato, per creare una collaborazione e un reciproco sostegno tra le regioni costiere e quelle più occidentali, eccetera. Innegabilmente il Governo raggiunge l'obiettivo sperato ma alcuni limiti sono rappresentati da nuove disparità, questa volta evidenziate all'interno della stessa regione; disuguaglianze, specialmente di reddito, tra residenti urbani e comunità rurali; limitata disponibilità di capitali; tecnologie arretrate; infrastrutture inadeguate; scarsa capacità di innovazione (Zheng Lu, Deng Xiang, 2011, pp. 3-19). Nel marzo del 2004, inoltre, ad accompagnare questa politica verso Occidente, se ne aggiunge un'altra, chiamata "The Rise of the Central" ( 中部崛起计划 zhōngbù juéqĭ jìhuà). Tale programma mira a potenziare le risorse e i beni presenti nelle regioni centrali quali Anhui, Shanxi, Henan, Hubei, Hunan e Jiangxi (Marti, Min Xu, 2012, p. 2). Agricoltura, industria, infrastrutture e trasporti sono tutti punti presenti nel piano di sviluppo, il cui obiettivo principale è una modernizzazione economica ed un potenzia- 40

41 mento urbano, con impianti industriali più efficienti ed eco-compatibili. Anche in questo caso si ottiene un certo successo e i miglioramenti sono visibili sia per quanto riguarda l'economia regionale che il PIL pro capite, ancora oggi in crescita in tutte e sei le province coinvolte. Nonostante gli innumerevoli sforzi gli anni dal 2006 al 2010 riscontrano svariate difficoltà nel raggiungere gli scopi predefiniti dallo Stato. Le imprese locali rimangono mediocri nel dimostrare capacità di innovazione, con scarse abilità di ricerca e sviluppo. Le tecnologie rimangono limitate e le aziende sono costrette a dipendere dalle importazioni di macchinari ed attrezzature moderne. Il sistema TA cinese dimostra dunque ancora alcune lacune che rallentano la competizione con i complessi industriali del mondo, meno frammentati e di più ampie dimensioni. Lo Stato, ben consapevole dei punti di debolezza, promuove l'xi Piano Quinquennale, inaugurato nel giugno 2006, il quale predispone strategie di sviluppo per il settore TA cinese. Gli obiettivi dichiarati sono essenzialmente tre: 1) migliorare le capacità di innovazione del settore ed accrescere la consapevolezza mondiale dei marchi cinesi; 2) ottimizzare gli impianti industriali ed introdurre tecnologie più avanzate; 3) limitare le strutture inquinanti, inefficienti, cause di sprechi energetici (Stewart, 2007, p. IV). A ciò si aggiunge la necessità di raddoppiare i profitti entro il 2010, prefissando un tasso di crescita annuale del +12,7% ed una produttività annuale pari agli RMB per capita (con crescita annua del +10,7%) (Stewart, 2007, p. 4). Il Piano Quinquennale si focalizza sul potenziamento delle capacità di innovazione e di sperimentazione tecnologica dell'intero settore in questione e a supporto di ciò, lo Stato concede ingenti somme di denaro e vantaggiosi prestiti per finanziare ed agevolare i nuovi progetti. Per quanto riguarda l'espansione dei marchi cinesi, il Governo lancia altre campagne, tramite le quali le aziende con marchi riconosciuti e certificati ottengono pubblicità gratuita affinché la loro popolarità esca dai confini nazionali. Vengono elargiti inoltre fondi pubblici e viene garantita una sorta di assistenza da parte di governi locali per quei marchi che si stanno rafforzando. Iniziativa di enorme portata è la cosiddetta "Ten Thousand Miles March for Brand Building", promossa dal Ministero del Commercio cinese che definisce questo programma come uno delle dodici sfide in primo piano dell'anno 2006 (Stewart, 2007, p. V). Cinquantacinque brands del settore TA cinese 41

42 vengono etichettati come marchi prioritari per il commercio estero e ventiquattro prodotti vengono classificati come "The Most Competitive Brand Names" del 2006 (Stewart, 2007, p. 10). I fondi elargiti hanno lo scopo di implementare i programmi di sviluppo del brand, offrono la possibilità di partecipare ad esposizioni a livello nazionale ed internazionale, incoraggiano le attività di promozione del marchio, appoggiano iniziative quali seminari, scambi con l'estero e altri servizi che possono contribuire ad una globale brand awareness dei prodotti TA cinesi. Particolari per il settore TA cinese sono anche gli anni , biennio di profonda crisi economica mondiale. Tuttavia gli effetti della recessione internazionale non sono altrettanto pesanti in Cina, dove le sorti dell'economia sembrano andare in controtendenza rispetto al resto del mondo. L'industria del tessile-abbigliamento cinese, pur non immune alla crisi, riesce a trarre vantaggio dal terremoto economico-finanziario che colpisce tutto il mondo e concentra i suoi sforzi in un riassestamento della struttura industriale. Di fronte alle sorti incerte dei Paesi più occidentali, il Governo cinese vara nel 2008 un piano grazie al quale vengono elargiti importanti fondi statali e concessi prestiti bancari alle aziende per controbilanciare la mancanza di finanziamenti stranieri e il calo indiscusso di scambi commerciali con l'estero. Naturalmente l'economia del settore TA cinese risente delle dinamiche mondiali e si registrano cali rispetto agli anni precedenti ma in questa occasione la Cina riesce a stabilizzare le sue finanze, focalizzandosi sul mercato interno che non solo ne esce più solido ed organizzato ma inoltre riesce a risollevare le sorti anche delle esportazioni e del mercato estero Struttura e caratteristiche del settore TA cinese Come già sottolineato la Cina si presenta oggi come maggiore produttore tessile e prima potenza mondiale per l'export dell'intero settore TA. Grazie alle misure ed ai progetti di potenziamento e sviluppo del settore promossi dal Governo, l'industria tessile cinese sperimenta nell'ultimo decennio una rapida crescita e si dimostra ora capace di produrre beni di alto valore aggiunto, qualitativamente più validi. Il settore vanta di una capacità di produzione senza eguali al mondo. Collegandomi alle parole del Professore dell'università di Delaware, Sheng Lu, posso qui affermare che fino al 2013, il 64,2% delle fibre chimiche del mondo, il 64,1% delle fibre sintetiche e il 26,2% del 42

43 cotone era prodotto in Cina. Nel 2014 la produzione cinese di fibre tessili ha superato i 50 milioni di tonnellate, rappresentando il 54,36% dello share mondiale e la produzione d'abbigliamento ha raggiunto i 29,9 miliardi, accumulando un aumento del +10,4% rispetto all'anno precedente. Data la notevole capacità produttiva cinese, si può prevedere che la Cina rimarrà ancora per molti anni la principale destinazione di approvvigionamento di capi d'abbigliamento per molte imprese della moda dell'ue e degli Stati Uniti (Sheng Lu, 2016, pp. 1-2) (Fig.11.1 e Fig. 11.2). Fig.11.1 Produzione Fibre Tessili in Cina: 2013 (Sheng Lu, 2016, p. 2) Fig.11.2 Produzione Abbigliamento in Cina: 2014 (Sheng Lu, 2016, p. 2) Il tasso di crescita del settore TA cinese procede cauto in salita, non esente da prestazioni meno soddisfacenti, come ad esempio il totale degli output (misurato considerando il valore aggiunto) che, tra il 2013 e il 2014, cresce del solo +7,0%, dimostrando un significativo calo del -10,3% rispetto al biennio Fortunatamente le finanze del settore TA cinese riescono a sopperire a questi momenti di complessità grazie agli investimenti stranieri, in continuo aumento dal 2009 (Sheng Lu, 2016, p. 3). Il settore TA cinese affronta il 2017 con più serenità, completando la sua fase di transizione e divenendo così un settore ben definito ed organizzato. L'autore Zhao Zihan individua cinque caratteristiche dell'attuale industria tessile cinese: 1) costante tasso di 43

44 crescita; 2) continuo incremento della domanda interna; 3) ripresa positiva della domanda estera; 4) dinamici investimenti nelle regioni orientali; 5) potenziamento e miglioramento delle prestazioni (Zhao Zihan, 2018, pp. 8-11). In generale, possiamo dunque notare come l'intero settore abbia conquistato una propria consapevolezza, fondamentale per l'economia interna ma anche per gli investimenti d'oltremare. La domanda interna si amplifica e risplende in modo particolare nell'e-commerce, grazie al quale l'industria tessile cinese nel 2017 ottiene un +20% di vendite rispetto all'anno precedente (Zhao Zihan, 2018, p. 9). Queste prestazioni positive devono il successo anche agli investimenti statali e privati che concentrano sforzi e capitali in stabilimenti, macchinari, tecnologie e in studi di ricerca. Nominare lo sviluppo tecnologico comporta necessariamente la menzione alla recente tech-textile industry 6 sviluppata in Cina, caratterizzata da innovativi prodotti ad alto contenuto tecnologico ed elevato valore aggiunto. Si tratta di investire ingenti somme di denaro in uno dei segmenti con la maggior rapidità di crescita dell'intero settore TA, la cui domanda risuona in particolar modo tra i consumatori statunitensi ed europei. I tessuti tecnici sono progettati per un'ampia gamma di compratori, investendo svariati mercati del settore aerospaziale, marittimo, sportivo, agricolo, della sanità e delle costruzioni (Shen Da, 2017, pp ). Secondo una ricerca condotta dalla Texpertise Network di Messe Frankfurt, la Cina, nel 2011, partecipa con il 30% della produzione globale di tessuti tecnici, seguita dalle Americhe che in totale registrano un 19%, rincorse dall'india (18% della produzione mondiale) ed infine dall'europa che detiene un 16% (Jänecke, 2016, p. 9). Questo vantaggio cinese è la pura manifestazione degli sforzi da parte del Governo, citati in precedenza, che hanno evidentemente portato i risultati sperati. Così innovazione e tecnologia hanno varcato i confini cinesi, arricchendo numerose industrie con macchinari tessili più efficienti e tecnologicamente avanzati, capaci di competere a livello mondiale. Le esportazioni di conseguenza ottengono risultati positivi, seppur in continua 6 L'industria definita nell'elaborato come Tech-textile industry si focalizza su prodotti realizzati con materiali tecnici, adatti a specifici usi e condizioni. Le proprietà tecniche e la funzionalità di questi prodotti fungono da linee guida, mettendo in secondo piano gli attributi decorativi e puramente estetici. Tale industria necessita di specifiche ed avanzate tecnologie, in grado di soddisfare le esigenze e le richieste dei clienti che operano in settori particolari quali sanità, costruzioni o operazioni aeronautiche, ferroviarie, ingegneristiche, attività sportive, eccetera. 44

45 oscillazione. Come si può osservare dalla tabella di Figura 12, il valore dei nove prodotti maggiormente esportati subisce nel 2016 forti variazioni, registrando cali fino al -10% come nel caso dei tessuti per la protezione della persona, controbilanciati, fortunatamente, da crescite altrettanto considerevoli da parte dei tessuti destinati ai trasporti (+11.10%). Tuttavia, le differenze calcolate in termini di quantità esportate seguono un andamento più favorevole e solo due categorie di prodotti mostrano il segno negativo. Fig.12 Principali prodotti esportati della tech-textile industry cinese (Gennaio-Settembre 2016) (Shen Da, 2017, p. 15) Gli Stati Uniti d'america costituiscono il principale mercato estero per i prodotti cinesi di questa categoria ma non può essere ignorato il calo delle esportazioni avvenuto nel 2016, pari al -3,57%. Al secondo posto si posiziona il Giappone, seguito dal Vietnam che incrementa gli acquisti, con una crescita del +4,27%. Si intensificano anche i rapporti con le Filippine, al nono posto ma con un potenziamento straordinario del +8,89% (Fig. 13). Fig.13 Principali destinazioni delle esportazioni cinesi dei prodotti della techtextile industry (Gennaio-Settembre 2016) (Shen Da, 2017, p. 15) 45

46 Nel resoconto del 2015, riportante il titolo di "2015 Technical Textiles Top Markets Report" fornito da ITA (International Trade Administration), la Cina occupa il terzo posto nella classifica dei principali trenta Paesi in cui l'industria tessile tech rappresenta un mercato con grandi opportunità di crescita e profitto. Dal punto di vista americano, assieme a Messico e Canada, rispettivamente al primo e al secondo posto, la Cina si presenta come il principale mercato di tessuti ad alto contenuto tecnologico, dimostrando una nuova ed energica attrazione per questo mercato. Ad esserne maggiormente coinvolto è il settore cinese della sanità, all'interno del quale la domanda per i prodotti tecnici americani è in continua crescita. Di fatto, nel 2015 le esportazioni americane di tali prodotti con destinazione Cina raggiungono quota 38 milioni di dollari. Nonostante si registrino dei periodici rallentamenti degli scambi sino-americani, la Cina rimane una delle maggiori destinazioni dei prodotti della tech-textile industry americana, costituendo una percentuale importante del mercato in questione (2016 Top Markets Report Technical Textiles). Se da un lato possiamo solamente elogiare l'evoluzione e l'attuale composizione del settore TA cinese, d'altro canto dobbiamo riconoscere una debolezza nel suo sistema interno. Una delle maggiori sfide trova spazio nell'industria tessile del cotone. Ye Jianchun, vice Presidente della "China Cotton Textile Association", afferma che nel 2013 in Cina risuona ancora l'eco della crisi finanziaria che ha colpito gran parte degli Stati del mondo e gli effetti di tale malessere si rispecchiano anche nella inconsistente domanda di cotone (Niu Fang; Xu Yuanyuan, 2016, p. 19). In un contesto globale inattivo, dove in particolare i Paesi dell'unione Europea e il Giappone rallentano la loro corsa, anche il settore tessile si indebolisce. La causa principale è il divario dei prezzi tra l'offerta interna e quella estera che infetta molte imprese cinesi, sofferenti di una forte pressione dei costi. A ciò si aggiunge anche una pratica difficoltà nel reperire le materie prime adatte a produrre prodotti di fascia medio-alta, qualitativamente competitivi nell'arena internazionale. Di fatto il problema più grave risiede nella struttura del micro-settore stesso e ciò provoca difficoltà per molte aziende, le quali faticosamente riescono, se riescono, ad ottenere una fornitura di cotone di alta qualità. Al fine di sopperire a tali mancanze, le industrie cinesi si rivolgono ai fornitori stranieri, au- 46

47 mentando il fatturato ed il volume delle importazioni, derivanti principalmente da Pakistan e India. Quest'ultima nel 2014 registra un significativo aumento di esportazioni verso la Cina pari al +26%, superando il più contenuto market share dell'11% relativo al Il Vietnam raddoppia le sue esportazioni di cotone verso la Cina, godendo, nel 2014, di un incremento del +20% (Niu Fang; Xu Yuanyuan, 2016, p. 20). Il presidente Ye ricorda come per anni si sia erroneamente focalizzata l'attenzione sulla quantità delle materie prime lavorate e dei prodotti realizzati, ignorando troppo spesso la qualità degli stessi. Egli sottolinea l'urgenza di revisione di tale priorità ed evidenzia la grande ricchezza del terreno del Xinjiang, principale area di coltivazione del cotone dalla quale si ottengono i due terzi degli output totali. Grazie ai semi che nascono in quelle zone si può ottenere un materiale qualitativamente migliore del cotone americano ed australiano, così da assicurarsi le vendite nei Paesi del Sud-Est asiatico, approfittando facilmente del vantaggio di vicinanza geografica. Un ulteriore macro-argomento da evidenziare quando si vuole offrire una panoramica dell'industria TA in Cina è la questione della responsabilità sociale nello sviluppo di tale settore, tematica di spessore negli ultimi anni. Nel 2013 si definisce una serie di requisiti necessari da imporre alle aziende impegnate nel settore TA con il fine di proteggere l'ambiente e potenziare le capacità manageriali, ponendo singolare attenzione alle politiche aziendali riguardanti i materiali di scarto e le sostanze inquinanti (Zheng Ran, 2014, pp ). Ciò a dimostrazione della necessaria riorganizzazione delle industrie tessili cinesi, le quali devono accrescere la loro sensibilità ambientale, fattore diventato un elemento decisivo per molti compratori e consumatori. Queste imprese devono dunque investire ingenti capitali in macchinari e strutture non inquinanti, attuare efficaci politiche di gestione ambientale e definire progetti a lungo termine in modo tale da ottenere un riscontro produttivo delle misure adottate. Tra queste ultime troviamo, ad esempio, attrezzature a basso impatto ambientale, tecnologie e metodi di produzione rispettosi nei confronti dell'ambiente, un utilizzo di energie alternative. Importante è anche il riscontro all'interno dei collaboratori e degli stakeholders tutti, i quali possono, o meno, dimostrare una sensibilità proficua nei confronti delle nuove pratiche e dei più innovativi prodotti eco-friendly. Le industrie cinesi del settore TA sono chiamate dunque a riprogrammare l'intero ciclo produttivo, dalla selezione delle materie prime all'uso finale del prodotto, nel pieno e totale rispetto dell'ambiente, senza 47

48 produrre effetti compromettenti per la salute e la sicurezza degli attori in scena, siano essi partecipanti nella lavorazione e distribuzione del prodotto o semplici consumatori finali. Per fare ciò, le aziende devono porre attenzione alle sostanze chimiche selezionate, ai macchinari e alle attrezzature in funzione, alla messa in sicurezza degli stabilimenti e degli operai. Di particolare interesse sono le attività delle industrie impegnate nella stampa e nella tintura dei tessuti, diventati settori pionieristici dell'innovazione tecnica e dello sviluppo delle responsabilità sociali (Green textile Responsible for the future, 2017, p. 15). Esse si stanno impegnando nello smaltimento non inquinante delle acque di scolo, nell'energia e nel consumo dell'acqua e nella riduzione delle emissioni, ottimizzando così la propria struttura interna, sia a livello tecnico che amministrativo e garantendo all'uomo un futuro più verde e pulito, sempre nei limiti massimi del possibile. Le industrie tessili cinesi dunque premono sull'acceleratore e acquisiscono una nuova consapevolezza della propria responsabilità sociale, diventata non solo un'ambizione comune di gran parte delle aziende ma anche un supporto strategico, ausiliario nell'aumento dei profitti e nel miglioramento della propria reputazione e credibilità. D'altra parte anche i consumatori sono chiamati a contribuire nello sviluppo di tale processo di civilizzazione ecologica: essi devono sfruttare questi "prodotti verdi", accettandoli come beni alternativi, capaci nel soddisfare i loro bisogni e le loro esigenze; devono poi partecipare alle iniziative di riciclaggio e riutilizzo dei prodotti tessili di scarto, accelerando così il modello di un consumo ecologico e pulito (Green textile Responsible for the future, 2017, p ). Inoltre, come evidenziato durante la descrizione della filiera italiana, anche nell'organizzazione cinese ed in particolare nella gestione delle politiche ambientali in questione, coordinazione e collaborazione fungono da colonne portanti. Ogni tassello della catena dev'essere controllato e partecipe nella selezione di materiali non inquinanti e sostanze non tossiche, pericolose per l'ambiente e per il consumatore, sempre più attento alla natura ecologica dei prodotti. La sostenibilità ambientale a lungo termine delle aziende del settore TA è accompagnata da un altro aspetto non privo di criticità: la responsabilità sociale guarda anche ai diritti dei lavoratori, risorsa primaria e punto di forza del TA cinese. Sono necessarie continue politiche, adattate ad una forza lavoro in continua mutazione per quanto riguarda composizione ed età. In Cina 48

49 la mobilità dei lavoratori è molto frequente e vi sono continui flussi di persone che si spostano dalle campagne alle città, dove le possibilità di lavoro sono decisamente più elevate. Tuttavia il numero dei migranti segue andamenti altalenanti e negli ultimi cinque anni le industrie del tessile-abbigliamento risultano meno attraenti per questa categoria. Nel 2013, ad esempio, il numero dei migranti impiegati in tali industrie manifatturiere scende al 31,4%, quando nel 2008 superava la soglia del 37%. Una rivoluzione che si caratterizza anche da una differenza di lavoratori in termini di fascia d'età: dal 2008 al 2012 perdono terreno i due gruppi più numerosi (21-30 anni e anni), mentre si ingrossano le fila delle categorie di operai di età superiore ai 41 anni (Zheng Ran, 2014, p. 38). Alla luce dunque dei numerosi ed incessanti mutamenti, è opportuno che le aziende adattino le loro politiche interne per salvaguardare la salute dei propri dipendenti ed assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori, con dovuta attenzione alle norme di sicurezza e alle condizioni igieniche dei luoghi di lavoro. Infine, i sempre più complessi mercati nazionali ed internazionali portano con sé sfide impegnative in termini di responsabilità sociale e protezione dei diritti relativi alla proprietà intellettuale. A focalizzare l'attenzione su quest'ultimo punto è in primo piano la Suprema Corte del popolo della Repubblica Popolare Cinese, la quale nell'aprile del 2014 emette un libro bianco in cui si dichiara che le corti regionali hanno accettato un totale di nuovi marchi, dimostrando una crescita annua del +17,45%, molti dei quali sono marchi di grandi aziende riconosciute e di naturale conseguenza la protezione della proprietà intellettuale diventa una priorità nazionale e non solo (Zheng Ran, 2014, pp ). Molti degli Stati con i quali la Cina tesse rapporti commerciali, specialmente i Paesi europei ed americani, innescano meccanismi di difesa tramite leggi, regolamenti e scrupolosi controlli per tutelarsi da una competizione disonesta, ad alto rischio di violazione del copyright. Con l'espandersi dell'e-commerce che cresce sia in termini di fatturato sia nel numero di dipendenti, molti sono i provvedimenti e le certificazioni concordati per tutelare le aziende stesse, la concorrenza ed il consumatore, che troppo spesso cade vittima nella tela del web. 49

50 2.3. Competitività e presenza del settore TA cinese a livello globale La già citata politica della "porta aperta" ( 门户开放政策 ménhù kāifàng zhèngcè) riecheggia ancora nella Cina contemporanea, delineando nuovi rapporti diplomatici ed economici. Il tesoro di Deng Xiaoping porta la sua modernità ed il suo caratteristico ampliamento delle relazioni internazionali ai giorni nostri, rafforzandosi con le più attuali iniziative politiche. Tra queste ricordiamo la cosiddetta "Go out policy", anche chiamata "Go global policy" (dal cinese 走出去 zŏu chūqu). Si tratta di un insieme di misure adottate dal Governo cinese alla fine degli anni Novanta (1999) con lo scopo di incoraggiare le aziende negli investimenti stranieri. Questo programma di internazionalizzazione delle imprese cinesi e della loro espansione oltre i confini nazionali si traduce principalmente in investimenti diretti (FDI, Foreign Direct Investment) e in un'attiva partecipazione ad opere pubbliche in altri Paesi. La spinta decisiva che porta all'adozione di tale "Go out policy" deriva da diverse spiegazioni: in primis, la Cina in quegli anni risente della forte pressione data dall'accumulo di riserve di capitale estero che agita i Paesi investitori a causa della convertibilità a tasso fisso della moneta cinese e così, per sopperire a questa situazione di irrequietezza straniera, lo Stato decide di investire parte di tale accumulo in acquisizioni e partecipazioni cinesi. Un'altra motivazione si palesa in seguito ai sempre più frequenti rapporti intrecciati dalla Cina con gli altri Paesi, relazioni che necessitano di crescita e maggior riconoscimento; si vuole dunque potenziare gli scambi commerciali affinché le industrie cinesi acquisiscano maggiore esperienza e riescano a raggiungere standard competitivi a livello mondiale, con prodotti di eccellenza e marchi di qualità a disposizione di consumatori non solo cinesi. Grazie ai continui incentivi statali verso le aziende, concretizzatisi anche all'interno dell'xi Piano Quinquennale ( ) sotto la formula "Go further outwards" ( 进一步走出去 jìnyībù zŏu chūqu), l'ammontare degli investimenti stranieri sembra crescere senza freni, tanto che nel 2012 la Cina, oltre ogni aspettativa, raggiunge l'apice dei suoi investimenti stranieri oltre i confini nazionali con un totale di ben 77,2 miliardi di dollari, superando i 60,1 miliardi dell'anno precedente, per un aumento dunque del +28,5% (What is meant by China's 'Go Out' policy?). 50

51 Le cifre rimangono positive anche negli ultimi anni, quando il Governo si dimostra costantemente impegnato nell'instaurazione di rapporti diplomatici, economici e commerciali con i Paesi del mondo. Ritorna in auge la storica Via della Seta, sotto le vesti dell'iniziativa "One Belt One Road" (OBOR), dal cinese 一带一路 yīdài yīlù, inaugurata nel 2013 dal Presidente cinese Xí Jìnping (Fig. 14). Trattasi di un'iniziativa strategica da parte del Governo cinese, la quale si dirama in una "via della seta economica", annunciata nel settembre del 2013 e in una "via della seta marittima", promossa nell'ottobre dello stesso anno. 7 Entrambe le direttrici mirano a promuovere la supremazia economica della Cina, espandendo i propri commerci, investendo in altri mercati, diffondendo i prodotti nazionali ed ampliando l'influenza nei rapporti internazionali. Il progetto prevede la costruzione di infrastrutture, miglioramenti nei trasporti e potenziamento delle operazioni logistiche, al fine di creare ulteriori sbocchi commerciali e nuove piazze per i prodotti cinesi. Questo ambizioso piano strategico intende sviluppare le industrie regionali ed annodare le fila dei diversi Stati, includendo anche i Paesi meno sviluppati, come si può notare dal corridoio economico che collega la Cina al Pakistan, un collegamento dal quale beneficiano anche Paesi tra i quali Afghanistan, India ed Iran. Fig.14 La nuova via della seta (McBride, 2015, p. 4) 7 Dal cinese semplificato 丝绸之路经济带和 21 世纪海上丝绸之路 sīchóuzhī lù jīingjì dài hé 21 shìjì hăishàng sīchóuzhī lù. 51

52 I primi successi conseguiti grazie a queste iniziative si presentano anche nel settore tessile-abbigliamento cinese. Shanghai ne è un esempio: dopo il suo avviato processo di internazionalizzazione il settore TA cresce e si rimodella tanto che, nel 2017, l'80% delle entrate totali della Shanghai Textile Group corrisponde al fatturato del commercio estero, per una cifra di circa 5 miliardi di dollari. Sempre la Shanghai Textile Group nel 2016, in termini di export, sale sul gradino più alto del podio tra le aziende nazionali del TA, proponendo un suo peculiare layout, chiamato "1+5": percorrere una sola via, quella dell'internazionalizzazione ( 国际化 guójìhuà), occupandosi contemporaneamente di cinque operazioni, ovvero la creazione di una base oltreoceano per l'approvvigionamento di materie prime, un'altra per la produzione, un'ulteriore base d'oltremare dedicata alle vendite, una base per l'integrazione del design innovativo ed infine un centro di distribuzione di forniture all'estero (Tian Li, 2017, p. 56). Il Ministero del Commercio cinese afferma che il totale degli investimenti diretti rivolti all'estero, riguardanti il settore TA, nel 2016 totalizza una cifra record, che, paragonata allo stesso periodo dell'anno precedente, cresce addirittura dell'89,3% (Tian Li, 2017, p. 57). Nel 2017 prosegue la corsa cinese, conseguendo continui successi in tema di esportazioni del settore TA. Nei primi sette mesi dell'anno appena trascorso, il totale dell'export raggiunge i 149,53 miliardi di dollari, in netto miglioramento rispetto ai corrispondenti mesi del 2016 (He Ming, 2017, p. 6). Ad attirare particolare interesse non sono solo i dati positivi raccolti negli ultimi anni, ma anche l'impegno costante da parte del Governo cinese nel promuovere l'integrazione e la collaborazione oltre confine. Nel 2017, in particolar modo, numerose sono le conferenze e le iniziative politicoeconomiche animate dal motto " 根植本土 丝路全球 " gēnzhí bĕntŭ, sīlù quánqiú, che sottolinea da un lato la volontà di mantenere le origini radicate in Cina, dall'altro la necessità di allargare le proprie mire ed azioni al di là dei confini nazionali, sfruttando la Nuova Via della Seta. Proprio nel 2017 il settore TA cinese si integra ufficialmente all'interno dell'arena internazionale, formalizzandosi a Shanghai con la fondazione della "China Textile Go Global Union" (marzo 2017). Tale Unione è stata approvata dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme e guidata dal Consiglio nazionale cinese del Tessile e dell'abbigliamento; vede al suo interno le principali 52

53 imprese del TA impegnate nello sviluppo nazionale ed internazionale e diverse organizzazioni operanti in ogni ramo della catena industriale, contando 104 membri nel novembre del 2017 (Win-win future, A global silk road era of China textile industry!, 2018, pp ). La rivista China Textile riporta quelli che sono considerati i tre servizi principali che l'unione mette a disposizione per i membri al suo interno (Win-win future, A global silk road era of China textile industry!, 2018, p. 28): essa costituisce un ponte per una coordinazione a livello globale, promuove attività di investimento e potenziamento e si impegna nella ricerca dati. Riguardo quest'ultimo punto, essa si dedica all'analisi della cosiddetta "Situation and Strategy of Textile Industry in Foreign Trade Investment" per delineare un quadro generico sulla più aggiornata evoluzione del settore TA cinese in relazione al commercio estero, paragonando i dati importexport e studiando le previsioni per i mesi futuri, in modo tale da organizzare le aziende e la produzione interna ad esse. Tramite questa Unione si organizzano numerosi incontri con i maggiori esponenti di molti Paesi, tra cui il Primo Ministro dell'etiopia, delegazioni di Marocco e Tunisia o ancora il Governatore dello Stato dell'arkansas, con i quali si pianificano collaborazioni di ampia portata. Già nel 2014, più di 2600 imprese cinesi operanti nel settore TA, stabiliscono la loro produzione al di fuori dei propri confini, espandendosi a macchia d'olio in oltre cento Stati e regioni tra Sud-est asiatico, Nord America, Europa, Australia, Africa ed altri. I maggiori investimenti derivano dalle aree del Zhejiang, Jiangsu, Shandong e da altre zone costiere (Zhou Hongmei, 2015, p. 34). Nei giorni dal 26 al 28 giugno 2017, la China Textile Go Global Union, al fianco di CCPIT TEX (China Council for the Promotion of International Trade - Textile), CNGA (China National Garment Association) e a cinque qualificate aziende cinesi del settore TA visitano anche l'italia, in una delle zone più produttive del settore in esame, Vicenza (Win-win future, A global silk road era of China textile industry!, 2018, p. 29). L'espansione del settore TA cinese raggiunge ogni angolo della Terra, stabilendo nuovi canali di vendita, proponendo prodotti qualitativamente validi e prezzi molto competitivi; la Cina attraverso un'ottimizzazione di aree quali logistica, ricerca e sviluppo e marketing riesce così ad integrarsi efficacemente nel mercato globale. 53

54 54

55 3. Rapporti Italia Cina 3.1. Import / Export I rapporti commerciali tra Italia e Cina focalizzati sullo scambio di prodotti del settore TA ricevono una decisiva spinta nell'anno 2005, inaugurato dalla liberalizzazione dell'intero comparto tessile a livello mondiale. Il primo gennaio del 2005, infatti, decade l'accordo ATC (Agreement on Textiles and Clothing), che dal primo gennaio 1995 sostituiva l'accordo Multifibre (si veda cap.1, paragrafo 1.1). Con lo smantellamento di tale accordo viene meno una serie di restrizioni quantitative sulle importazioni di prodotti cinesi, determinando così un'impennata delle esportazioni tessili dalla Cina e, di riflesso, l'adozione di misure difensive per i mercati europei ed americani, minacciati dal carattere aggressivo del concorrente asiatico. Per meglio comprendere e giustificare le misure adottate dall'italia e dagli altri Paesi della Comunità europea si notino le variazioni di quote e di prezzo registrate nel 2002, in seguito ad una prima e più contenuta liberalizzazione di alcuni prodotti tessili (Figg ). Fig.15 Impatto Cina sul mercato tessile dell'ue dopo la liberalizzazione del 2002 (Primo rapporto sulla liberalizzazione del settore tessile: 1 Gennaio 2005, come reagire all'invasione asiatica, p. 3) 55

56 Fig.16 Quote e prezzi cinesi nell'ue prima e dopo la liberalizzazione del 2002 Cat. 21 (Giacche a vento) (Primo rapporto sulla liberalizzazione del settore tessile: 1 Gennaio 2005, come reagire all'invasione asiatica, p. 3) Come evidenziano le due tabelle, la crescita delle quote di mercato cinesi è inversamente proporzionata alla variazione negativa di prezzo. Considerando come esempio la categoria 21 delle giacche a vento, si nota infatti una smisurata trasformazione della partecipazione cinese nel mercato UE che passa da un 15% nell'anno 2001 ad un 74% archiviato nel primo semestre del Tale alterazione si ripercuote violentemente sui prezzi che scendono del -45% e così se nel 2001 il prezzo unitario di una giacca a vento corrispondeva a 18,28, all'inizio del 2004 precipita fino alla cifra di 6,82/pz. La liberalizzazione dei prodotti del TA allarma i nostri mercati in quanto tocca un settore determinante per le economie dei Paesi europei che accumulano notevoli profitti ed offrono un impiego ad una consistente fetta della popolazione. E' naturale dunque che le aziende e i governi chiedano urgenti misure di protezione economica e politiche commerciali in grado di contrattaccare l'aggressione cinese. Unione Europea e quindi Italia adottano delle misure preventive di sorveglianza per regolare gli scambi commerciali con la Cina. Il nostro Paese, in realtà, non cerca di limitare pesantemente l'interscambio italo-cinese e chiede di valersi non di uno strumento ad hoc verso la Cina, bensì di misure erga omnes verso tutti quei Paesi extra-ue che potrebbero dimostrare un atteggiamento altrettanto minaccioso per le economie europee (Primo rapporto sulla liberalizzazione del settore tessile: 1 Gennaio 2005, come reagire all'invasione asiatica, p. 6). Tuttavia la maggioranza decide di concentrarsi sulla Cina, viste le irreparabili conseguenze che hanno colpito i prezzi e hanno già modificato le 56

57 dinamiche del commercio internazionale. Tra i principali strumenti di difesa commerciale ricordiamo le seguenti adozioni: Misure Anti-dumping: si prevede un'applicazione di dazi anti-dumping su alcuni prodotti importati all'interno dell'ue da Paesi Terzi, in caso di attestazione di un fenomeno dumping. 8 Dal 15 marzo 2005 la Commissione Europea approva l'introduzione di dazi anti-dumping su alcuni prodotti cinesi in poliestere e, nello stesso anno, l'italia ottiene il primo dazio anti-dumping sulle importazioni dalla Cina di determinati prodotti tessili che rientrano nella 'categoria 35', 9 il cui consumo in Europa è pari ad un miliardo di Euro e l'import dalla Cina raggiunge i 300 milioni di Euro (Galli, 2005, p. 3). TPSSM (Transitional Product-Specific Safeguard Mechanism): le imprese comunitarie possono adottare dazi o quote nel momento in cui l'importazione di determinati prodotti minaccia un mercato europeo in crisi o prossimo ad una crisi con beni simili o direttamente concorrenziali. Tale strumento entra in vigore il 28 gennaio 2003 e viene dichiarato attivo per il periodo di transizione della Cina, definito da un tempo di dodici anni dall'entrata nella WTO (Primo rapporto sulla liberalizzazione del settore tessile: 1 Gennaio 2005, come reagire all'invasione asiatica, p. 8). Salvaguardia speciale tessile: clausole particolari (tra cui una disposizione speciale di salvaguardia delle esportazioni cinesi del TA, in vigore fino al 2008) dotate di potere limitativo sulle importazioni tessili e d'abbigliamento dalla Cina in caso di "turbolenze di mercato". Pechino deve assicurare un costante equilibrio dei commerci internazionali e non deve intralciare l'andamento regolare degli scambi con gli Stati comunitari. Nel caso in cui la Cina non riesca a mantenere sotto controllo il suo operato, il Paese importatore ha il 8 Il fenomeno dumping si verifica nel momento in cui un'impresa vende in un mercato estero il proprio prodotto ad un prezzo inferiore rispetto a quello applicato su territorio nazionale. Il prezzo dell'export risulta dunque di categoria FOB (Free On Board), esente dai costi di trasporto e di assicurazione. Tale fenomeno viene considerato una forma di concorrenza sleale ed un ostacolo al libero e corretto scambio commerciale internazionale. 9 Si tratta di un tessuto serico utilizzato per capi d'abbigliamento, quali biancheria femminile, abbigliamento sportivo e da sci, rivestimenti interni eccetera (Galli, 16 Marzo 2005, p. 3). 57

58 diritto di limitare il quantitativo del prodotto oggetto di disturbo (Primo rapporto sulla liberalizzazione del settore tessile: 1 Gennaio 2005, come reagire all'invasione asiatica, p. 9). Di estrema importanza per l'italia è anche la firma del Memorandum of Understanding (MoU), avvenuta a Pechino nel 2005, tra Mandelson, Commissario Europeo al Commercio Estero (il cui mandato va dal 2004 al 2008) e il Ministro del Commercio Estero Cinese Bo Xilai ( 薄熙来 Bó Xīlái), in carica dal 2004 al 2007 e membro del Politburo dal Se da un lato tale accordo impone dei limiti sulle importazioni dalla Cina, dall'altro è accompagnato dalla liberalizzazione di nuovi prodotti, sempre relativi al settore TA, che costituiscono oltre il 60% delle importazioni italiane nel 2005 ed il 32% dell'import totale italiano dalla Cina (Cancrini, 2006, p. 46). I Paesi europei da un lato temono l'invasione asiatica, sostengono che le restrizioni imposte possano assicurare un futuro al settore TA della Comunità e il rispetto delle leggi del libero scambio e della concorrenza leale; dall'altro però faticano a resistere alla tentazione di accumulare profitti grazie ai costi inferiori offerti dai produttori cinesi, rinunciando così anche ad un potenziale partner commerciale, dotato del più ampio numero di futuri consumatori. Una simile contraddizione si denota in termini di occupazione del lavoro: i Sindacati italiani condannano questo dialogo tra Italia e Cina, accusandolo di provocare la perdita di migliaia di posti di lavoro e nell'aprile del 2005 molte aziende tessili italiane protestano di fronte al Parlamento Europeo, a causa della chiusura di molte attività, spazzate via dalla concorrenza cinese. Tuttavia, negli anni successivi, sono proprio molte industrie italiane ad approfittare del basso costo della manodopera cinese, delocalizzando, in parte o in tutto, la produzione all'estero e, in particolare, in Cina (a tal proposito si veda il paragrafo 3.3.1) (Manifestazione a Bruxelles contro la lenta reazione della Commissione Ue. Protestano le aziende tessili La Cina ci toglie il lavoro). Naturalmente ciò non giustifica il comportamento di molte aziende cinesi, le quali troppo spesso tentano di aggirare le politiche economiche con contraffazioni, etichettature approssimative o non idonee e materiali non a norma. Queste sono le principali lamentele che emergono nella sala del Parlamento Europeo negli anni successivi alla liberalizzazione dei prodotti cinesi: gli Stati membri esigono l'istituzione di un sistema 58

59 di sorveglianza doganale paritario e senza eccezioni, un controllo severo sul rispetto dei requisiti necessari per il commercio del prodotto e, di conseguenza, una protezione maggiore e una sicurezza in termini assoluti per il consumatore europeo. Una volta compreso il panorama internazionale sul quale si sviluppano le relazioni italo-cinesi, passiamo ora all'analisi di alcuni dati relativi agli scambi import-export tra Italia e Cina con oggetto i prodotti del settore TA (Fig. 17). Fig.17 Import-Export tra Italia e Cina dei prodotti del settore TA (Valori in Milioni di Euro) (elaborazione personale basata su dati SMI dal 2008 al 2017) Gli anni più favorevoli per l'import italiano di prodotti cinesi corrispondono al biennio I flussi commerciali in uscita, invece, seguono andamenti differenti e dal 2009 si dimostrano in continua e costante crescita. Il prodotto Made in Italy traina ancora con forza l'intero comparto, mantenendo una propria supremazia nel mercato internazionale ed attirando gli acquirenti cinesi, interessati ai prodotti di fascia alta e medio-alta, ancora difficilmente emulabili. I marchi di media dimensione conquistano una clientela cinese sempre più numerosa, grazie anche ad un migliorato sistema di distribuzione nel territorio cinese. Con il sostegno ed il perfezionamento delle iniziative già nominate nel paragrafo precedente, in particolare la campagna "One Belt One Road ", anche definita da alcuni il "Piano Marshall cinese", si costruiranno sempre più corridoi economici tra Italia e 59

60 Cina ed il valore totale import-export potrà crescere a livelli esponenziali, conferendo al nostro Paese una posizione privilegiata nel mercato cinese. Ciò sarà possibile se la Cina terrà fede agli impegni chiariti in sede WTO, proteggendo i paesi comunitari da ogni genere di rischio operativo, sia esso legato alla tutela della proprietà intellettuale, agli incrementi di costo o ad una sleale e poco trasparente competizione Presenza del settore TA cinese in Italia L'internazionalizzazione cinese, come già riportato, si manifesta, inizialmente, con la moderna Open Door Policy, un'apertura agli investitori stranieri in territorio asiatico. Con il passare di pochi anni però il Governo incoraggia le aziende cinesi ad uscire dai confini nazionali tramite il processo definito Go Global. In particolar modo, dal 1999 al 2002, molte industrie leggere e tra queste numerose facenti parte del settore TA, avviano progetti di internazionalizzazione. Tali iniziative mirano a spostare alcune fasi della produzione in altri Paesi o ad intraprendere trattative economico-commerciali per acquisizioni di imprese o partecipazioni in società. Molte aziende cinesi si muovono verso la nostra Penisola. Il contesto italiano è infatti favorevole per le industrie provenienti dalla sempre più vicina Cina: analogamente all'italia, infatti, anche le industrie cinesi si organizzano in distretti e si caratterizzano da una forte presenza di piccole e medie imprese, specialmente per quanto riguarda i settori più tradizionali, quali il nostro duplice comparto del tessile-abbigliamento. Le piccole e medie dimensioni delle industrie cinesi si dimostrano favorevoli ad una più rapida penetrazione all'interno dell'arena italiana e riescono a stabilirsi nelle numerose realtà più ristrette, in cui la concorrenza rimane limitata. Inoltre, le stesse PMI italiane non si mostrano come ostacoli per una potenziale espansione territoriale cinese, in quanto le dimensioni delle nostre imprese, spesso a livello familiare, avvicinano gli imprenditori cinesi che facilmente possono rilevare ed acquistare l'intera attività. Per quanto riguarda il settore TA, l'italia assiste negli anni ad un lento e cauto proliferarsi di industrie cinesi. Basti pensare che nel 2005 gli investimenti diretti cinesi in Italia ammontano al solo 2% nel settore TA, 10 per un totale di 143 milioni di Euro (Spigarelli, 2008, p. 42). L'espansione cinese inizia, infatti, con le industrie impiegate 10 Il dato riportato comprende prodotti tessili, in cuoio, capi d'abbigliamento e calzature. 60

61 nella produzione di macchinari o elettrodomestici o aziende di logistica. Questo ritardo riscontrabile nel TA può essere giustificato dal fatto che la Cina avvia la sua internazionalizzazione spinta da motivazioni resource-seeking, ovvero mira all'approvvigionamento di materie prime di cui l'italia però è scarsa. Per questo motivo, quando le imprese cinesi dirottano la loro politica verso una strategia market-seeking, il contesto industriale italiano del TA risulta molto più adatto, non solo per commercializzare i prodotti cinesi ma costituisce anche un ponte diretto e rapido per la vendita dei prodotti nelle piazze europee. In linea generale si può affermare che la distribuzione delle aziende cinesi nel nostro territorio inizia nelle aree a tipica vocazione distrettuale, con particolare incidenza in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna. Negli ultimi dieci anni si addentra ulteriormente, presentandosi anche al centro e al sud (Toscana, dove la comunità cinese è molto presente, Molise, Umbria, Marche e Campania) dove l'avvicinamento con le aree distrettuali attira gli imprenditori cinesi che esplorano anche regioni meno affollate dalla controparte italiana. Il caso dell'area Vesuviana, 11 in provincia di Napoli, ne è un esempio: qui dagli anni Novanta giungono gruppi di immigrati cinesi (molti dei quali provengono dalla toscana Prato) che costituiscono vere e proprie comunità etniche e rivoluzionano l'economia locale. Gran parte della loro fortuna risale proprio al settore TA nella formula del "pronto moda": i cinesi sbarcano nei vari comuni campani con processi di lavorazione molto veloci, produzioni adattabili rapidamente ai diversi gusti e alle varie stagioni e tempi di consegna molto ristretti. Gli stessi commercianti locali, inizialmente, godono dei numerosi vantaggi che ne derivano quali una disponibilità di merci in grandi quantità e a basso costo nonché profitti moltiplicati. Con il tempo il Made in China preoccupa però clienti e consumatori finali, timorosi per il futuro delle attività commerciali locali, dubbiosi sull'origine e sulla qualità delle materie prime e infastiditi dalla palpabile contraffazione dei capi firmati. Si temono danni alla salute e all'ambiente, soprattutto a causa dello smaltimento dei materiali di scarto, accumulati in luoghi non controllati o bruciati in grosse quantità (Polise, p. 2). Altre due realtà sono degne di particolare attenzione: Prato e Milano. 11 Con area Vesuviana intendiamo qui i comuni di Carbonara di Nola, Ottaviano, Palma Campania, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano, San Giuseppe Vesuviano, Striano e Terzigno. 61

62 Il tessile-abbigliamento cinese nella città di Prato La comunità cinese di Prato è ormai parte integrante della popolazione toscana. Nel 2015 la città conta abitanti, di cui un sesto è cinese. Questi migranti derivano dalla città-prefettura cinese di Wenzhou (in cinese 温州 Wēnzhōu), situata nella provincia sud-orientale chiamata Zhejiang ( 浙江 Zhèjiāng). Il loro numero è cresciuto in misura esponenziale: nel 1990 Prato accoglie solo 28 immigrati cinesi, nel corso di un anno ammontano a 1009, per arrivare alla fine del 2012 quando Prato ospita circa immigrati cinesi (Zhang, 2015, pp ). 12 La loro presenza in territorio pratese risale ai primi anni Novanta e, fin dall'inizio, operano nel settore del TA, con specializzazione nel pronto-moda, 13 inizialmente come subfornitori per committenti italiani. Nel primo periodo, inoltre, molti immigrati lavorano al servizio di imprese tessili italiane, occupandosi della cucitura dei capi. Solo più tardi si distingue una definita specializzazione, individuabile in una diversificazione delle attività cinesi divise tra chi produce i modelli e commercializza gli abiti e chi si dedica alla cucitura (Dei Ottati, 2015, p. 24). Nascono poi vere e proprie attività a gestione cinese come tintorie, filature e stamperie, seguite dalla crescita di attività commerciali del terziario, con un boom di centri all'ingrosso e vendita al dettaglio. Ma perché scegliere Prato? Per rispondere a tale interrogativo ci possiamo basare sulle motivazioni fornite da Yili Zhang, esponente della Business School dell Università di Wenzhou. Negli anni Novanta, in Italia, la domanda nel settore TA è in ripresa; tuttavia manca forza lavoro e scarseggiano i subfornitori poiché i giovani non sono propensi ad impegnarsi nei lavori manuali. Il flusso migratorio cinese, attivo proprio in quegli anni, trova dunque una situazione favorevole all'insediamento, con possibilità di lavoro imminenti. Una seconda ragione ci collega alla città di Firenze, prima destinazione di molti cinesi di Wenzhou alla fine del secolo scorso. La città fiorentina, sempre più sovraffollata dalla comunità cinese e ormai insofferente per preoccupazioni economiche, manda molti dei 12 La cifra fa riferimento agli immigrati cinesi dotati di regolare permesso di soggiorno; si consideri dunque che il dato effettivo potrebbe essere notevolmente superiore. 13 Con il termine "pronto-moda" si intende quella particolare attività industriale di produzione e distribuzione di abiti confezionati, secondo tempistiche molto ristrette e taglie predefinite. Le collezioni in uscita sono continue e in costante aggiornamento. 62

63 suoi nuovi abitanti nella vicina Prato, e così, le generazioni future si stabiliscono direttamente a Prato per congiungersi con parenti e amici. Il rapporto tra i cinesi di Firenze e di Prato rimane assai stretto e quindi, proprio per questo terzo motivo, la città pratese rimane una meta sicura per i cinesi, i quali possono contare su una fitta rete di relazioni e contatti con compaesani provenienti dalla stessa Wenzhou. Inoltre non bisogna sottovalutare l'atteggiamento ricettivo adottato dall'amministrazione comunale di Prato che non ostacola il flusso in arrivo della popolazione cinese e concede un notevole margine d'azione, dato anche dal forte potere d'acquisto degli immigrati (Zhang, 2015, pp ). Fondamentale per lo sviluppo settoriale delle imprese cinesi è anche il rapporto stabilito con gli imprenditori e le realtà locali. Se infatti la prima generazione di immigrati preferiva chiudersi nei propri laboratori e cercava di inserirsi nelle sole reti sociali cinesi presenti nel territorio ospite, più tardi si avviano dei nuovi meccanismi socioeconomici. Questo atteggiamento, definito da Dei Ottati come un'estensione interetnica delle relazioni esterne alle imprese (Dei Ottati, 2015, p. 26) (si veda la fig. 18), funge da vero e proprio fattore di successo per le attività cinesi. Il coinvolgimento di collaboratori italiani, nello specifico pratesi, contribuisce ad un miglioramento gestionale ed operativo delle imprese, la cui manodopera rimane a maggioranza cinese. Italiani sono soprattutto i disegnatori, il personale d'ufficio ed i rappresentanti e venditori in contatto diretto con il cliente. Il lavoro manuale rimane ai migranti, le mansioni che invece richiedono maggiore competenza ed una più elevata specializzazione sono nelle redini italiane. L'ultimo punto nell'analisi di Dei Ottati si sofferma sulle relazioni internazionali intraprese dalle citate attività imprenditoriali sino-pratesi. In linea generale, le industrie del TA stabilite in Italia e a maggioranza cinese, rimangono strettamente collegate al loro Paese d'origine, dal quale importano filati e prodotti finiti a basso costo. La Cina non solo rimane una sorgente economicamente conveniente, ma inevitabilmente rappresenta un mercato assai vasto ed eterogeneo, dove rientrare con capi realizzati da mani cinesi ma con il valore aggiunto di beni percepiti vicini al prestigioso Made in Italy. 63

64 Fig.18 Riassunto delle principali tendenze evolutive delle imprese cinesi di Prato (Dei Ottati, 2015, pp ) La rilevanza delle attività manifatturiere e commerciali della comunità cinese a Prato accende le preoccupazioni dei residenti e dei lavoratori locali. Nel settore secondario si teme una perdita ingente del lavoro, affidato ai migranti, i quali accettano condizioni di lavoro meno igieniche e controllate, orari pesanti e stipendi più bassi. Nel terziario molte piccole e medie aziende vengono spazzate vie dalla concorrenza cinese; queste, costrette a chiudere, causano indici di disoccupazione ulteriormente gravosi e difficoltà economiche che si espandono a macchia d'olio all'interno delle famiglie italiane. Le preoccupazioni non coinvolgono solamente motivazioni di carattere economico ma interessano fattori di sicurezza ambientale ed aziendale. Nel dicembre del 2013, tutti i quotidiani locali, e non solo, riportano la strage avvenuta in una fabbrica di cinesi, dove perdono la vita sette dipendenti. Pesanti condanne attaccano le mancate accortezze di sicurezza e tale evento, definito "12.1 火灾 huŏzhāi" (rogo del primo dicembre), scatena una serie di controlli a catena in tutto il territorio nazionale, inasprendo i rapporti ed i conflitti sociali tra italiani e cinesi (Zhang, 2014, p. 54). 64

65 La capitale italiana della Moda parla cinese: Milano e il caso Sarpi La presenza dei cinesi nel Nord e Nord-Est della nostra Penisola trova la sua più nota espressione nel cuore della regione lombarda, Milano e, nello specifico, nella Chinatown di Via Paolo Sarpi. Si tratta di "una città nella città", "un quartiere autoghettizzato" che con il tempo si è aperto all'esterno (Cologna, 2008, p. 5). Il primo flusso cinese rilevante risale al 1984 e, inizialmente, questi immigrati si concentrano nelle attività industriali e manifatturiere e sono presenti in numero consistente nei laboratori del settore pellettiero e tessile. Svolgono attività di subfornitura e spesso sottostanno alle condizioni imposte dalle aziende locali. Con l'avvento degli anni Duemila però, i cinesi acquistano maggiore autonomia e sviluppano un notevole spirito imprenditoriale che, unitamente allo smisurato potere d'acquisto, li spinge ad investire in nuove forme redditizie. Il loro capitale viene utilizzato per comperare ed avviare attività indipendenti, all'ingrosso e al dettaglio, i cui prodotti vengono venduti sia al consumatore locale (cinese e milanese), sia alla clientela residente in Cina. Per comprendere la forte pressione esercitata delle attività cinesi del TA si osservi la figura 19, dove vengono riassunte le principali trading attive già nel Fig.19 Esercizi commerciali gestiti da cittadini cinesi nel quartiere Sarpi (MI) Ottobre 2007 (Cologna, 2008, p. 6) Dalla tabella appare evidente il ruolo predominante del comparto abbigliamento nell'economia cinese nel solo quartiere Sarpi. In totale, infatti, vi è più di un 37% di trading 65

66 che commerciano esclusivamente capi di vestiario, cifra seguita dalle vendite di borse/pelletteria e calzature. Negli ultimi anni si manifesta ancor di più il tentativo da parte cinese di delocalizzare la propria attività in zone più periferiche, dove gli spazi più ampi risulterebbero maggiormente favorevoli a grandi centri all'ingrosso o addirittura in zone ad impronta distrettuale in altre regioni (Prato rimane una delle mete più ambite). Questo passaggio dalla manifattura al settore terziario, manifestatosi anche in altre città metropolitane della Penisola, dimostra un'avvenuta diversificazione sociale ed economica dei cittadini cinesi ed una maturità degli attori in scena, capaci di adattare rapidamente l'offerta in base al mercato, modificando la struttura produttiva alla realtà in cui sussiste ed opera. Così il numero dei cosiddetti 个体户 (gètĭhù, lavoratore autonomo) continua a salire, offrendo beni e servizi diversificati e di buona qualità, sebbene ancora lontani dagli standard del Made in Italy Partecipazioni italiane in Cina nel settore TA Il presente capitolo si apre sottolineando come con la liberalizzazione del mercato TA e l'entrata della Cina nella WTO, molti Paesi (tra cui l'italia) abbiano azionato un meccanismo di difesa con misure protezionistiche e dazi. Tuttavia però, non può essere tralasciato il fatto che, in seguito a tali cambiamenti di inizio secolo, si presentano anche importanti possibilità per il Bel Paese: le imprese italiane, infatti, possono sviluppare e dimostrare un distintivo dinamismo competitivo ed una capacità di operare efficientemente in contesti internazionali. Con l'apertura verso la Cina il settore TA italiano può sfruttare i vantaggi cinesi di basso costo e abbondanza di manodopera, in modo tale da ridurre le spese, potenziare i profitti e contrastare la sempre più aggressiva competizione mondiale. Dai primi anni Duemila le industrie italiane modificano la loro struttura produttiva e sperimentano diverse forme di internazionalizzazione, termine che non dev'essere esclusivamente associato all'esportazione. Al di là dell'export, l'italia esplora altri terreni per l'espansione produttiva e commerciale: il sourcing e l'outsourcing. Nel primo caso le aziende individuano dei mercati e delle aree che possono rappresentare delle leve strategiche come fonti di approvvigionamento. Tale processo, definito 66

67 anche global sourcing (approvvigionamento su scala mondiale), mira ad ottenere vantaggiosi margini di profitto senza stravolgere la natura del prodotto. La produzione e la distribuzione non subiscono rilevanti trasformazioni, mentre le operazioni logistiche diventano più complesse, anche a causa del maggior numero di collaboratori attivi a livello locale ed internazionale. Questa strategia appare meno fortunata negli ultimi anni poiché, come nota la Dottoressa Cancrini (2006, p. 146), i produttori cinesi stanno invadendo anche fisicamente i mercati europei, stabilendosi con proprie strutture e distribuendo in prima persona i loro prodotti con prezzi molto bassi. L'outsourcing appare dunque una valida alternativa, nonostante rappresenti un processo di internazionalizzazione più macchinoso e rischioso. Con tale termine si definisce quella scelta da parte di un'azienda di affidare funzioni produttive o servizi a terzi, maggiormente competenti o dalle risorse più adatte. In tal modo, la prima può concentrarsi su altri aspetti dell'operato, focalizzando le energie in azioni più vicine al proprio core-business ed evitando inutili dispersioni di denaro. Il terzista, dal canto suo, acquisisce conoscenze e know-how altrimenti irraggiungibili e possibilità di integrazione ed inclusione nel commercio mondiale. Nei primi anni del nuovo secolo il processo di internazionalizzazione italiana si avvia con lentezza e diffidenza. La lontananza geografica, la carente esperienza nel campo dell'internazionalizzazione produttiva ed operativa e la limitata dimensione delle nostre imprese del TA giocano a sfavore di una pronta ed efficace globalizzazione commerciale. Anche analizzando i dati più recenti si nota come il settore TA, seppur dimostrando maggior intraprendenza, rimanga collegato a numeri relativamente contenuti: le aziende italiane presenti in Cina crescono timidamente, soprattutto se confrontate con i protagonisti di altri settori, quali il comparto meccanico ed elettronico. Riporto qui di seguito alcuni dati per comprendere e concretizzare la partecipazione italiana in Cina nel settore TA. Analizzando le informazioni raccolte dalla banca dati REPRINT, ottenute grazie alla collaborazione con il Politecnico di Milano e l'agenzia ICE (Dati su investimenti diretti esteri - IDE, 2015), si può notare un'evoluzione delle partecipazioni italiane in Cina avvenuta nell'ultimo decennio, seppur contenuta e non ancora pienamente matura. Dal 2004 al 2009 sono soprattutto le aziende dell'italia settentrionale e centrale impegnate nel comparto dell'abbigliamento a spostarsi nelle città cinesi e, nel 2015, la situazione 67

68 vede la vendita all'ingrosso e al dettaglio come la maggior attività avviata da imprenditori italiani (Fig. 20). Fig.20 Partecipazione di imprese italiane in Cina (dati al 31 Dicembre 2015) (Dati su investimenti diretti esteri (IDE), 2015) Accantonando ora la riflessione riguardante le partecipazioni italiane in Cina, ricordiamo un'ulteriore strategia di internazionalizzazione: la delocalizzazione produttiva La delocalizzazione produttiva come strategia di internazionalizzazione Con il termine "delocalizzazione produttiva" intendiamo qui quell'accurato e non casuale processo di trasferimento della produzione di beni e/o dell'offerta di servizi in altri Paesi, con il fine di sfruttare specifici vantaggi competitivi, difficili da ottenere all'interno del territorio nazionale. Tale procedimento viene anche definito "Frammentazione Internazionale della Produzione" (FIP), termine che tende a sottolineare la suddivisione del processo produttivo precedentemente realizzato in un unico sito e ora posizionato in più strutture e in diversi Paesi (Tajoli, 2011, p. 92). Spesso la delocaliz- 68

69 zazione viene considerata azione indistinta dalla citata internazionalizzazione per outsourcing. Tuttavia i due termini non possono essere visti come sinonimi in quanto quest'ultimo coinvolge un'azienda straniera, la quale si occupa attivamente della produzione, mentre la delocalizzazione non concede necessariamente tale libertà a terzi ed il processo di realizzazione del prodotto rimane sotto stretto controllo dell'azienda d'origine. Con la delocalizzazione all'estero dell'apparato produttivo (parziale o integrale) segue anche un adattamento non sempre facile della struttura organizzativa e della gestione operativa. Si instaurano nuovi rapporti di sub-fornitura con attori esteri e si assiste in genere ad una collaborazione con figure già attive sul terreno straniero, dotate di esperienza e contatti con terzi. Si sfrutta la manodopera straniera a basso costo, spesso motivo principale di tale scelta strategica ma si investono i maggiori sforzi nel mantenere la qualità del prodotto precedentemente realizzato in Italia, secondo gli standard prestigiosi del Made in Italy. Il fenomeno della delocalizzazione produttiva del settore TA italiano si presenta in modo più insistente e diffuso a partire dagli anni Novanta (Fig. 21) per poi intensificarsi nel primo quinquennio del nuovo secolo. Fig.21 Struttura produttiva del settore TA italiano (Cancrini, 2006, p. 152) Come evidenziato dalla figura 21, la struttura produttiva del TA italiano subisce delle prime rilevanti modifiche a cavallo tra il vecchio ed il nuovo secolo. Dal 1999 al 2004 la produzione effettuata all'estero sperimenta una crescita del +7,5%, 69

70 passando da un 13,2% alla fine degli anni Novanta ad un 20,7% nel 2004, a scapito di terzisti e di connazionali. Le principali mete delle industrie italiane sono rappresentate da Romania, Tunisia, Turchia per poi concentrarsi verso la Cina. Il territorio cinese viene riconsiderato negli anni poiché da un lato la manodopera dei Paesi dell'est Europa e del centro Europa subisce un aumento dei costi, dall'altro perché l'economia cinese ed il potenziale rapporto economico-commerciale con la Cina prospettano una collaborazione più proficua e a lungo termine. L'internazionalizzazione tramite la modalità in esame avviene in genere in base ad una delle seguenti strategie: Market-oriented, con lo scopo di avvicinarsi al mercato di sbocco ed offrire rapidi servizi ai clienti, abbattendo i costi di trasporto, migliorando la propria reputazione, sviluppando le politiche interne di marketing ed aggirando le barriere protezionistiche (in particolare i dazi doganali); Supply or cost-oriented, giustificata specialmente da questioni economiche in quanto si riducono i costi della forza lavoro, del terreno, delle risorse utilizzate così da incrementare i profitti. Il prodotto finito rientra in genere nel Paese d'origine dell'azienda e viene venduto nel territorio nazionale o nei mercati esteri più tradizionali (Faraone, 2009, p. 45; Cancrini, 2006, pp ). Oltre agli evidenti vantaggi legati ai costi, l'azienda delocalizzata accumula inevitabilmente maggiore esperienza da sfruttare negli scambi commerciali nazionali ed internazionali, giocando un ruolo di maggior rilievo e godendo di una più elevata competitività. Con lo spostamento all'estero, inoltre, ha la possibilità di intrecciare nuovi rapporti economici, espandendo il proprio mercato e la propria influenza. All'interno degli studi di fattibilità, un'azienda non solo deve selezionare la strategia da seguire ma definisce anche verso quale Paese indirizzare il processo di delocalizzazione produttiva. In base alla strategia e quindi alle necessità e agli scopi individuati, l'industria avvia una sorta di processo di selezione considerando le caratteristiche del 70

71 Paese ospitante, la concorrenza presente e una lunga serie di fattori legati ai costi (risorse umane e naturali, infrastrutture e terreni, spese logistiche, fiscali eccetera) e all'adeguatezza del luogo. Inoltre è necessario non vengano sottovalutati gli ostacoli innalzati dal nuovo sito, quali barriere linguistiche, culturali, percezione da parte dei cittadini e dei lavoratori stranieri. Per meglio comprendere la scelta da parte delle aziende di delocalizzare o meno la produzione, è interessante leggere i dati riportati da Davide Castellani (Castellani, 2007, pp ) riferiti alla nona Edizione dell'indagine sull'imprese manifatturiere condotta da Capitalia. Tale indagine risale al 2004 e coinvolge quasi 5000 imprese italiane operanti nell'industria manifatturiera, le quali si presentano come protagoniste del processo di internazionalizzazione. Il settore manifatturiero e, nello specifico quello del TA, risulta essere infatti tra i comparti più adatti al trasferimento produttivo oltreconfine, poiché richiede un'elevata quantità di forza lavoro, non necessariamente qualificata ad alti livelli. Tra i risultati di tale indagine ci soffermiamo ora sulle motivazioni dichiarate dai partecipanti riguardanti l'avvenuta, o non, delocalizzazione della fase produttiva (Figg ). Fig.22 Motivi che hanno indotto le imprese a delocalizzare parte della produzione all'estero (nel periodo ) (Castellani, 2007, p. 470) 71

72 Com'era prevedibile la ragione più comune che ha spinto le imprese alla delocalizzazione ha radici economiche: oltre il 50% afferma di aver ricercato un risparmio di risorse umane e naturali a basso costo così da poter ridurre i prezzi e mantenere il proprio livello di competitività all'interno dell'arena internazionale. Circa 50 aziende invece dichiarano di aver perseguito una strategia di stampo market-oriented, giustificando la scelta con la vicinanza ai mercati di sbocco. Gli intervistati risultano invece meno sensibili ai possibili vantaggi fiscali in territorio estero e in minor misura interessati e coinvolti in potenziali agevolazioni in tema di responsabilità sociale. La Figura 23, invece, racchiude quelli che sono risultati essere i principali ostacoli e dubbi presentatisi alle aziende indecise sul futuro della produzione interna e le stesse hanno optato infine per un rifiuto alla delocalizzazione delle strutture produttive. Fig.23 Motivi che hanno indotto le imprese a NON delocalizzare la produzione all'estero (nel periodo ) (Castellani, 2007, p. 475) Il grafico evidenzia che l'indagine, oltre ad aver ricevuto molte risposte non previste dal questionario, ha ottenuto maggior riscontro in due motivazioni. La prima trova 72

73 giustificazione nella temuta difficoltà a livello logistico ed organizzativo nello svolgere le operazioni a causa della lontananza geografica, mentre un differente numero di aziende frena la sua corsa all'internazionalizzazione per trasferimento in mancanza di personale qualificato e professionalmente adeguato. Le imprese che decidono di spostare parte delle operazioni investono infatti, non solo in nuove tecnologie ed innovazioni di prodotto e processi, ma anche in figure professionali capaci di adattarsi al nuovo ambiente e stabilire una rete funzionale di rapporti tra la sede originale e le filiali estere. Il capitale umano disponibile a molte aziende non appare adeguato e necessariamente specializzato, per questo l'azienda non si sente abbastanza armata per affrontare la competizione oltre i confini nazionali. Oltre alla ritenuta inadeguatezza di tali figure, un'ulteriore difficoltà riscontrata da un numero di poco inferiore alle 500 imprese coinvolte, è legata alla problematica individuazione di collaboratori in loco, attori indispensabili per un inserimento di successo nel nuovo ambiente. In conclusione possiamo affermare che in Italia il processo di FIP procede oggi con maggior ottimismo ed energia, dopo una prima fase di perplessità e timori giustificata anche dalla dimensione contenuta delle nostre imprese. Lo spostamento delle fasi produttive richiede un ingente investimento di capitali ed un costante impegno a livello logistico ed organizzativo, con un coinvolgimento di manager e ricercatori. La specializzazione e la relativa struttura distrettuale del TA italiano frenano ulteriormente l'internazionalizzazione in quanto la tipica composizione del nostro complesso industriale risulta difficilmente riproducibile all'estero, dove mancano gli intermediari di fiducia che collegano i processi a monte e a valle. L'azienda inoltre, può perdere la tanto sudata fidelizzazione del cliente, il quale associa la delocalizzazione produttiva ad una perdita di qualità del prodotto e credibilità dell'impresa. Il consumatore potrebbe interpretare il trasferimento come un'ancora di salvataggio afferrata da un'azienda in possibile crisi e dunque decidere di non investire ulteriore denaro in beni non più prestigiosi. Altra percezione comune da parte dei clienti nel Paese d'origine si traduce in un senso di risentimento verso l'azienda. I connazionali possono condannare l'impresa delocalizzata, complice della crisi occupazionale e della perdita di innumerevoli posti di lavoro. Tuttavia questa sensazione viene smentita empiricamente da molti casi di aziende italiane che da anni guardano oltre i confini nazionali. In breve si è riscontrato che quando un'industria delocalizza (con 73

74 successo) la produzione riesce a ridurre le spese a favore di un incremento sostanzioso dei profitti e parte di tale capitale viene investito nel potenziamento dell'azienda stessa tramite tecnologie e capitale umano, necessari per mantenere standard più elevati e competitivi. Non viene meno dunque la domanda di manodopera bensì si assiste ad un mutamento della composizione del personale: aumenta la componente richiesta di figure qualificate e di operai specializzati, mentre le funzioni più basilari vengono lasciate agli assunti oltre confine (Prota; Viesti, 2007, p. 409). In conclusione, la delocalizzazione può essere accompagnata da un forte aumento degli indici di redditività, una ricchezza che rientra in patria con prodotti concorrenziali, accessibili a più categorie di consumatori e con l'offerta di prestigiosi e remunerativi posti di lavoro. 74

75 4. Il caso CAPE HORN Il Brand e l'evoluzione dell'azienda L'azienda Cape Horn costituisce una realtà geograficamente a me molto vicina; nasce infatti nel mio paese, Arsiero, una località di poche migliaia di abitanti, situata nell'alto vicentino. Dagli anni Novanta si contraddistingue per la realizzazione di capi d'abbigliamento, tra cui piumini, giacche, giacconi e polo, sviluppando parallelamente le collezioni uomo e donna. Prende il nome dall'omonima isola, situata nell'arcipelago della Terra del Fuoco, nell'estremità meridionale del Sud America. L isola di Cape Horn nell arcipelago della Terra del Fuoco rappresenta l ultima frontiera dell America latina, l accesso all Antartide. Un luogo vero, carico di simbologia e di storia. Qui il fascino della natura è straordinario: spazi infiniti, intrisi di solitudini e silenzi interrotti soltanto dal sibilo improvviso delle raffiche di vento. Queste latitudini sono abitate dai sogni di chi ha fatto di Cape Horn e della Terra del Fuoco il proprio rifugio mentale. Lontano dalla frenesia della quotidianità, alla ricerca della sensazione di libertà che solo i grandi spazi sanno trasmettere. Cape Horn è molto più di un semplice punto geografico meta di coraggiose avventure; è un luogo dove l uomo può incontrare sè stesso, la porta della conoscenza interiore. Viaggiatori nell anima, viaggiatori del mondo. Tutto questo rappresenta la filosofia del brand. (Cape Horn) 14 Tutte le informazioni contenute in questo capitolo sono state raccolte dal sito ufficiale ed in seguito approfondite durante delle interviste da me rivolte al CEO dell'azienda, Alessandro Ferrari, nelle seguenti date: ,

76 Il marchio Cape Horn è da sempre sinonimo di viaggio, di emozioni intense e di una vita ricca di esperienze, come ricorda il CEO, Alessandro Ferrari durante un nostro colloquio. I prodotti sono riconoscibili da un logo, bianco e nero, raffigurante la sagoma dell'america del Sud. All'interno di esso non si legge soltanto il nome della casa di moda seguito dalla scritta Tierra del Fuego, ma si notano anche le coordinate di quella zona, 56 parallelo Sud, 67 meridiano Ovest. La vocazione per il viaggio viene esaltata anche nello slogan dell'azienda: "World's travellers", viaggiatori del mondo. La filosofia che accompagna i prodotti Cape Horn, dalla progettazione alla vendita, risiede proprio nel viaggiare. Ciò che ha ispirato e che stimola costantemente l'azienda sono i viaggi e le sensazioni provate nell'esplorare gli spazi aperti e gli angoli più nascosti del mondo e, per tale motivo, i capi d'abbigliamento proposti da Cape Horn sono studiati per adattarsi alle diverse condizioni climatiche e alle più svariate attività. La casa di moda nasce tra il 1993 ed il 1995 ad Arsiero, comune in provincia di Vicenza, nel nord-est d'italia. Come la maggior parte delle aziende italiane, anche Cape Horn rappresenta una società a conduzione familiare, fondata da tre fratelli originari della zona. Ad Arsiero si effettuava la realizzazione dei campionari ed il taglio dei tessuti, mentre le altre fasi avvenivano nei paesi limitrofi, in un raggio massimo di circa cento chilometri, per poi espandersi in diverse città della provincia. La stretta collaborazione tra le numerose sedi produttive ha permesso ai tre fratelli di aumentare il carico della produzione e ben presto il marchio ha acquisito notorietà e prestigio. Gli ordini si sono fatti più numerosi e di conseguenza il prodotto ha conquistato consistenti fette di mercato. Questa rapida evoluzione ha portato con sé la necessità di mantenere un prezzo competitivo e così nel 1996 la produzione si delocalizza nell'est Europa, seguendo la strategia supply/cost-oriented, alla ricerca di una manodopera più economica. La destinazione principale è la Romania, selezionata per il conveniente costo della forza lavoro e per la vicinanza geografica. Seguono Ucraina, Moldavia, Turchia e Tunisia, quest'ultima abbandonata rapidamente a causa di una certa instabilità interna, a livello politico, economico e sociale. 76

77 Tuttavia nell'arco di un decennio, la produttività delle regioni dell'europa orientale risulta meno soddisfacente e le risorse fornite (umane e naturali) in netta diminuzione; si riscontra inoltre un'inefficienza da parte degli enti locali e tutto ciò comporta una diminuzione drastica della forza competitiva e, di riflesso, dei potenziali profitti. Cape Horn inverte dunque la rotta e guarda altrove. Così, nel 2006 la delocalizzazione produttiva dell'azienda investe completamente la Cina, abbandonando quasi internamente l'europa. La Turchia rimane una fonte essenziale per l'approvvigionamento del cotone di buona qualità, materia prima ancora poco presente e di scarsa competitività all'interno del mercato cinese (si veda Capitolo 2, paragrafo 2.2, pp. 6-7). La realizzazione della linea dei pantaloni, di entrambe le collezioni, uomo e donna, rimane invece entro i confini nazionali. Oggi la sede principale è collocata a Chiuppano (VI), a circa dieci chilometri dalla originaria Arsiero e dove, oltre agli uffici, vi è anche il negozio interamente fornito di capi Cape Horn. La vendita diretta avviene inoltre nei corner dedicati, presenti in tutta la penisola, mentre il canale digitale è ancora debole anche se, nell'ultimo periodo, sta conoscendo un maggior successo grazie al sito online proposto da "Bertonshop", all'interno del quale sono presenti altri prestigiosi marchi, quali Patrizia Pepe, Colmar, Max Mara e Napapijri (BS Bertonshop). Tra i principali prodotti vi sono giacche, giacconi, piumini, bomber, polo, t-shirt, pantaloni ed alcuni accessori, quali zaini e borsoni. La peculiarità risiede nei materiali utilizzati, dotati di grande elasticità e resistenza, in grado di far sopportare a chi li indossa le più temute temperature invernali, conferendo però una comodità tale da non limitare i movimenti. Ogni capo risalta grazie alla sua funzionalità e versatilità, caratteristiche che non escludono il gusto estetico e la cura dei dettagli, denominatori comuni presenti in entrambe le collezioni, uomo e donna. Possiamo definire i prodotti a marchio Cape Horn come capi dall'elegante stile sportswear, ovvero linee di abbigliamento sportive ma non professionali né specifiche, confortevoli ma raffinate. 77

78 I capi Cape Horn vantano di un alto livello di impermeabilità, grazie all'utilizzo di tessuti resistenti alla neve e alla pioggia che avvolgono il corpo mantenendolo asciutto grazie all'inserimento di sezioni intelligenti come cappucci e colli alti. La proprietà di idrorepellenza, accompagnata da una traspirabilità ad alto livello, è possibile grazie al trattamento di laminatura esterna, la quale spesso conferisce un aspetto lucido, in un'ampia gamma di colori ed effetti. Altra caratteristica dei prodotti in questione è l'impiego dei cosiddetti tessuti soft stretch, ovvero elasticizzati, e dal colore opaco. Questi conferiscono un tono moderno e si adattando al corpo, valorizzandone le forme e seguendo i movimenti di chi li indossa, grazie ai filati interni multicomponenti di nylon ed elastam. Vi è poi una categoria definita Urban-Tech, la cui struttura si articola in tre strati: 1. una membrana impermeabile e traspirante di poliestere ad alte prestazioni, appoggiata ad un materiale tecnico rivolto all'esterno; 2. una fodera interna, spessa e resistente; 3. un sistema di cuciture termo-nastrate. Gli strati appena elencati si sovrappongono e si fissano l'uno con l'altro, impedendo lo sfregamento interno; così facendo si riduce la possibilità di usura del capo d'abbigliamento, assicurando una durata prolungata e costanti prestazioni. Inoltre, è possibile inserire un ulteriore strato, arricchendo i precedenti con un isolamento in piuma o ovatta per conferire calore e maggiore impermeabilità. La produzione varia in base alla stagione: alcuni prodotti sono maggiormente richiesti d'estate a discapito d'altri (polo, t-shirt, eccetera), e lo stesso accade nei mesi invernali con altri capi, comportando così delle modifiche nell'organizzazione produttiva che, talvolta, per brevi periodi, abbandona delle linee di prodotto per focalizzarsi laddove la domanda è più attiva e vivace. Cape Horn concentra da sempre la sua produzione in due collezioni: quella maschile e quella femminile, mentre solo eccezionalmente vengono messi nel mercato alcuni capi per bambini. Le due categorie principali, entrambe posizionate su una fascia di prezzo medio-alta, si sviluppano parallelamente e vengono realizzate all'interno delle 78

79 medesime strutture industriali. In termini di vendita, il signor Ferrari afferma che il fatturato archivia cifre simili, con una lieve flessione del circa +2% relativa al comparto donna. Le offerte proposte alla clientela maschile e femminile appartengono a tipologie simili; tuttavia vengono riportate delle modifiche per meglio adattare il prodotto al gusto e alle esigenze del consumatore. Ad esempio si producono capi d'abbigliamento con tessuti più tecnici per l'uomo, mentre per la donna si riservano magliette e capispalla, in particolare piumini, con dettagli più ricercati e particolari. Per entrare in contatto con nuovi mercati e potenziali clienti, l'azienda Cape Horn partecipa a diverse manifestazioni rinomate: fino a circa cinque-sei anni fa, esponeva i suoi prodotti a Firenze, all'interno dell'evento Pitti Immagine Uomo, mentre recentemente ha deciso di concentrarsi in alcune fiere internazionali, con particolare interesse per le città tedesche di Berlino e Monaco. Vengono poi organizzati numerosi viaggi per testare i prodotti, verificarne la resistenza e la capacità di adattamento alle diverse condizioni climatiche. Durante tali trasferte si catturano anche suggestivi scatti fotografici e si effettuano servizi con modelli da inserire nei nuovi cataloghi. Queste iniziative, oltre a perseguire degli scopi commerciali e di marketing, confermano quella che è la filosofia dell'azienda, ribadendo come il tema del viaggio sia una propria prerogativa, presente in tutte le fasi, dalla progettazione alla realizzazione del prodotto, fino alla reclamizzazione del capo finito, presentato al cliente. Tra le destinazioni più recenti ricordiamo la Norvegia, la Namibia, nell'africa Sud Occidentale, l'isola di Fuerteventura e la più vicina Croazia L'esperienza della delocalizzazione produttiva in Cina Come già accennato all'interno del paragrafo precedente, nel 2006 la ditta Cape Horn adotta la strategia di delocalizzare gran parte della produzione in Cina, andandosene così dalle regioni dell'est Europa, ormai scarsamente produttive e poco competitive. La Cina attrae l'azienda non solo per il risaputo basso costo della forza lavoro ma anche per la crescita esponenziale dell'intero Paese, dimostrandosi sempre più come una 79

80 grande potenza dalle mille risorse e dall'ineguagliabile potere d'acquisto. Inoltre, grazie agli ingenti investimenti statali e stranieri, l'industria cinese raggiunge ottimi standard nella produzione di semilavorati, introducendo avanzate tecnologie e ricercate innovazioni. Sono proprio queste ultime ad attrarre molti investitori ed imprenditori giapponesi e sud coreani e così, per rincorrere la concorrenza e per rimanere competitiva, Cape Horn sceglie di superare le barriere culturali, linguistiche ed accorciare la distanza tra Veneto e Cina, mettendosi in gioco in un terreno ancora inesplorato. Così, grazie ad un collaboratore italiano con il quale si erano già instaurati dei rapporti commerciali per la fornitura di tessuti, si ottengono gli iniziali contatti in Cina. Il primo sito visitato e preso in considerazione è Hong Kong dove, con non poche difficoltà, si effettuano dei test iniziali e si realizzano dei campioni di prova. Tuttavia la città non soddisfa a pieno le esigenze della casa di moda italiana: si verificano diverse disavventure con degli operatori locali, le tempistiche della produzione non sono sufficientemente rapide e gli standard qualitativi non conformi alle aspettative dell'azienda. Si pensa così ad una nuova destinazione e subito l'alternativa appare essere Shanghai. Qui il lavoro della manodopera viene maggiormente apprezzato ed il personale coinvolto risulta più capace e preparato. Grazie ai contatti locali, alla velocità e all'organizzazione cinese ci si sposta facilmente da Hong Kong a Shanghai, città comunque costosa ma in grado di offrire buone prospettive di collaborazione e convincenti opportunità per mantenere le specificità produttive del marchio Cape Horn. In un primo momento si sperimentano le produzioni di giacche invernali e in seguito, nell'arco di tre-quattro mesi, si inseriscono le collezioni estive, sovrapponendo così più cicli di produzione e raccogliendo i risultati di entrambi. I successi non tardano ad arrivare; anzi, dopo le prime due stagioni, i quadri dell'azienda vicentina concordano nel trasferire il 50% della produzione delle giacche di entrambe le collezioni, estive ed invernali, in Cina e, allo scadere del ciclo di una terza stagione, l'intera realizzazione dei capispalla viene delocalizzata. In Cina i maggiori stabilimenti produttivi si trovano a Shanghai, Hangzhou (Zhejiang), Nanjing (Jiangsu) Ningbo (Zhejiang), Qingdao (Shandong), e nell'area di Dalian (Liaoning). L'esperienza in Cina, afferma l'amministratore Delegato Alessandro Ferrari, nonché uno dei fratelli fondatori, si è dimostrata positiva fin dai primi istanti, grazie ad un 80

81 ambiente aperto e ricettivo, consapevole dell'importanza del capitale estero. Non si sono riscontrati controlli troppo pressanti, né episodi di corruzione o complicazioni legati ad aspetti politici o legali. La casa di moda apprezza lo spirito collaborativo delle città cinesi e degli operatori stranieri, con i quali si sono instaurati solidi rapporti di fiducia. Da entrambe le parti vengono proposti progetti chiari e concreti e sono proprio la stima e la lealtà ottenute negli anni a permetterne la realizzazione. La trasparenza è stata un punto cardine nei rapporti, affiancata da una straordinaria organizzazione e da una rapida efficienza cinese. Alcune difficoltà sono state superate grazie all'assistenza di collaboratori già presenti in Cina, collegati ad esperti locali, i quali vantavano di una buona esperienza diretta con produttori e capofila del posto. Nelle strutture Cape Horn delocalizzate in Cina, materie prime ed attrezzature sono di origine cinese, come la forza lavoro, per la maggior parte costituita da personale cinese, affiancata da immigrati filippini, vietnamiti e non solo. La selezione del capitale umano è avvenuta in loco da un selezionato personale cinese, affiancato da manager italiani. La collaborazione nell'individuazione del capitale umano, sottolinea il signor Ferrari, si è rivelata molto positiva dimostrando un'ammirevole e concreta capacità selettiva, capace di soddisfare pienamente le richieste provenienti dalla sede centrale. I tempi di produzione in Cina sono relativamente più rapidi rispetto a quelli registrati in Italia ma, considerando poi la spedizione, si rimane vicini agli standard italiani, superando però di molto quelli iniziali riscontrati nell'est Europa. A livello logistico, la spedizione avviene per mare, con rare eccezioni di trasporto per via aerea, opzione naturalmente molto più costosa. I prodotti finiti rientrano per la maggior parte in Italia, mentre un altro quantitativo, comunque sostanzioso, viene direttamente spedito ai clienti, tra i quali numerosi sono americani e giapponesi. La vendita diretta in Cina è rara e molto complicata da organizzare: sono necessari ingenti investimenti per adattare i prodotti Cape Horn ai gusti, alle esigenze culturali e alle possibilità economiche del consumatore cinese, segmento di mercato al momento considerato troppo eterogeneo. La penetrazione interna appare 81

82 dunque una sfida ancora troppo ardua e dispendiosa ma la famiglia Ferrari non esclude di intraprendere nuovi cammini in futuro. 82

83 5. La nobilitazione tessile 5.1. Definizione e rilevanza all'interno del ciclo produttivo Con il termine "nobilitazione" (69. 整理工艺 zhěnglĭ gōngyì) si definisce l'insieme dei trattamenti che hanno lo scopo di trasformare il materiale tessile greggio (66. 原毛 yuánmáo) in semilavorati (1. 半成品 bànchéngpĭn; 2. 半制品 bànzhìpĭn) idonei alle successive lavorazioni, oppure in tessuti (13. 纺织品 fǎngzhīpǐn) destinati alla confezione di manufatti (Baglio, 2007, p. 2). I materiali trattati sono dunque fiocchi (10. 短纤维 duănxiānwéi; 42. 切段纤维 qièduànxiānwéi), filati (50. 纱线 shāxiàn), tessuti ma tali lavorazioni possono avvenire anche sui capi finiti. La nobilitazione comprende una fase di preparazione (41. 前处理 qiánchŭlĭ), seguita dai trattamenti di tintura (46. 染色 rǎnsè; 48. 上色 shàngsè), stampa (64. 印刷 yìnshuā) e finissaggio (17. 后整理法 hòuzhěnglĭfă). Il processo di lavorazione varia in base alla tipologia della materia prima o del materiale, alla sua composizione fibrosa, alle esigenze richieste e agli effetti desiderati (Magni, 2015, p. 19). Per mezzo di tale complesso di operazioni è possibile attribuire al prodotto colore, effetti tattili, comportamenti prestazionali, disegni e motivi estetici (Magni, 2015, p. 17). La qualità del materiale tessile sottoposto a nobilitazione viene migliorata e potenziata e lo stesso risulta maggiormente funzionale ad ulteriori future lavorazioni. Come evidenziato da Tonetti (2006, p. 13), vengono eliminate le impurità naturali mentre si conferiscono caratteristiche estetiche e chimico-meccaniche, quali, ad esempio, resistenza alla lacerazione (55. 撕裂痕迹 sīliè hénjì), oltre alle proprietà di antimacchia (30. 抗污性能 kàngwū xìngnéng), antipiega (36. 免烫 miăntàng) ed un alto grado di idrorepellenza (12. 防水 fángshuĭ). Tuttavia soprattutto a causa di quei procedimenti atti a modificare la natura del materiale, è necessario effettuare numerosi e severi controlli in accettazione, durante il processo e al termine di esso, per verificarne la qualità e per assicurare il pieno rispetto di leggi e di regolamenti (Nobilitazione tessile). Particolare attenzione viene posta sulle questioni relative alla tutela dell'ambiente e alla sicurezza del luogo di lavoro, del prodotto stesso e del consumatore finale. Le fasi di tintura, stampa e finissaggio allarmano 83

84 in maniera notevole poiché di fatto utilizzano sostanze chimiche, potenzialmente tossiche ed infiammabili e producono una grande quantità di scarti industriali, inquinando con fumi ed emissioni in acqua di rifiuti Le fasi della nobilitazione tessile Come già accennato, la nobilitazione tessile avviene con il susseguirsi delle seguenti fasi: preparazione, tintura, stampa, finissaggio. Ciascuna fase può prevedere al suo interno ulteriori procedimenti e/o trattamenti Fase 1: Preparazione 15 Tale fase preliminare permette l'eliminazione delle impurità naturali presenti all'interno del materiale di lavorazione e rende quest'ultimo in grado di assorbire efficacemente le sostanze chimiche presenti nei trattamenti ai quali dovrà sottoporsi in un secondo momento. In relazione al tipo di tessuto, alla composizione e al risultato desiderato possono avvenire le seguenti operazioni: Bruciapelo (49. 烧毛 shāomáo) Il tessuto scorre rasente o perpendicolare ad una fiamma, con velocità adeguata al materiale lavorato e all'effetto richiesto, in modo tale da bruciare la peluria sporgente dal tessuto. Viene utilizzata una fiamma ossidante così da evitare possibili residui fuligginosi sulla fibra (60. 纤维 xiānwéi); in genere si applica sui tessuti in cotone, destinati alla mercerizzazione. 15 Le descrizioni delle operazioni relative alla fase di preparazione fanno riferimento ai manuali degli autori Di Girolamo (2013a) e Magni (2015). 84

85 Fig.24 Schema di un processo di bruciapelo a gas (Di Girolamo, 2013a, p. 4) Mercerizzazione (54. 丝光 sīguāng) Trattasi di un procedimento tipico per filati e tessuti in cotone. Il tessuto viene impregnato in una soluzione concentrata di soda caustica; la fibra tende conseguentemente a ritirarsi e a rigonfiarsi ed il tessuto risulta così più brillante, con un'aumentata capacità di assorbire i coloranti ed una potenziata stabilità dimensionale (5. 尺寸稳定性 chĭcun wĕndìngxìng). Fig. 25 Sistema completo per la mercerizzazione di filati in matasse e tessuti (ALVE Textile Machinery) 85

86 Purga (22. 净化 jìnghuà) Finalizzata all'eliminazione di sostanze grasse, la purga viene effettuata in acqua calda con l'utilizzo in genere di detergenti, soda caustica ed emulsionanti (47. 乳化剂 rŭhuàjì). Candeggio (39. 漂白 piăobái) Per mezzo di tale operazione, si vuole ottenere un bianco puro, eliminando possibili impurezze colorate e/o tinte indesiderate. Il trattamento richiede l'azione del perossido di idrogeno (16. 过氧化氢 guòyănghuàqīng) e dell'ipoclorito di sodio (6. 次氯酸钠 cìlǜsuānnà). Sbozzimatura (58. 退浆 tuìjiāng) Sostanze chimiche ed altri eventuali trattamenti eliminano dal tessuto le frequenti colle e sostanze oleose di tessitura. Lavaggio ed asciugatura Quest'ultimo procedimento, assai frequente, è finalizzato all'eliminazione dei residui di sostanze chimiche ed impurità Fase 2: Tintura L'operazione di tintura modifica la capacità del materiale di riflettere alcuni dei raggi luminosi che riceve e di assorbirne altri (Glossario semplificato dei termini tecnici in materia di nobilitazione dei tessuti, qualità delle lavorazioni, depurazione biologica dei reflui liquidi). La tintura può avvenire in diversi stadi della lavorazione: può essere applicata sulla fibra, sul filato, sulle pezze o sul capo finito; tuttavia per ottenere una maggiore solidità è bene effettuare il trattamento durante le prime fasi della produzione (Di Girolamo, 2013a, p. 19). 86

87 La riuscita dell'operazione è evidente se si riscontra una buona uniformità della tinta, una piena corrispondenza con il campione precedentemente realizzato e se si raggiungono i parametri stabiliti di solidità (Baglio, 2007, p. 6). Come evidenziato dalla Responsabile del Laboratorio Tessile di Como, Giovanna Baglio (2007, p. 6), i macchinari utilizzati devono assicurare la salvaguardia del tessuto, la ripetitività del risultato e l'economicità dell'intero processo. Altri fattori determinanti per l'esito del trattamento sono i coloranti utilizzati, il materiale scelto, nonché tempo, temperatura e pressione impostati durante l'operazione (Baglio, 2007, p. 6). Come detto, la tintura può intervenire in differenti momenti della lavorazione e pertanto opera con metodologie dissimili. Le più comuni sono le seguenti: tintura in filato: avviene in seguito alla procedura di torsione (20. 加拈 jiāniān) del filato che si immerge in una soluzione di acqua e colorante e viene messo in condizione ottimale per assorbire il colorante in ogni sua parte, anche in quella più interna e centrale, così da ottenere una buona solidità (Di Girolamo, 2013a, p. 19). Il filato viene immerso in una soluzione di acqua e colorante in autoclave (62. 压力容器 yālìróngqì) orizzontale o verticale contenente subbi d'ordito (23. 经轴 jīngzhóu) (Magni, 2015, p. 24). Fig.26: Tintura filati (Magni, 2015, p. 24) 87

88 Tintura in tessuto: può avvenire in largo, per mezzo del macchinario Jigger (27. 卷染机 juănrănjī) (utilizzato nella maggior parte dei casi nella lavorazione del cotone). Il tessuto si immerge più volte in un bagno di colore (45. 染缸 răngāng), contenuto in una vasca di forma trapezoidale, tenuta in temperatura grazie ad una serpentina di vapore. Il tessuto parte da due cilindri posizionati nell'unità superiore della macchina, chiamati cilindri di avvolgimento e svolgimento che ruotano in sensi opposti e sono azionati da un gruppo motore. Un coperchio posto sul macchinario consente il mantenimento di una temperatura adeguata, evitando il raffreddamento del tessuto, mentre un apposito dispositivo impedisce il formarsi di eventuali pieghe (Merlino, 1999, pp ). Vi è poi una tecnologia di Jigger sotto pressione, la quale lavora a temperature più elevate così da poter tingere anche le fibre sintetiche. Fig. 27 La tecnologia della tintura in Jigger (Merlino, 1999, p. 85) In altri casi, la tintura può svolgersi per mezzo del passaggio del tessuto in corda, tramite overflow (65. 溢染机 yìrănjī), jet (38. 喷射染色机 pēnshè rănsèjī) eccetera. L'impianto overflow mantiene il tessuto in costante movimento, evitandone lo sfregamento con parti di macchinario o altri ostacoli e per tale motivo è possibile lavorare tessuti maggiormente delicati, come seta, lana e cotone (Tintura, 2001, p. 26). 88

89 Le macchine jet sottopongono il tessuto ad un bagno alla temperatura di 140 C e vengono utilizzate, in genere, per i tessuti sintetici e in poliestere (9. 涤纶 dílún) (Scheda 29 Lavorazione: Tintura in pezza Macchina: Jet). Tintura in capo: il capo d'abbigliamento, dopo aver già completato le fasi di nobilitazione ed essere stato confezionato, viene sottoposto al trattamento di tintura (Magni, 2015, p. 26) Fase 3: Stampa La fase di stampa permette di trasferire un motivo o un disegno, anche a più colori, su un tessuto. La stampa a livello industriale avviene tramite l'utilizzo di quadri o cilindri che rilasciano uno strato denso di pasta colorata che verrà in seguito scaldata e quindi fissata (Di Girolamo, 2013a, p. 19). I metodi di stampa sono molteplici e tra i più comunemente usati ricordiamo i seguenti: Stampa diretta (71. 直接印花 zhíjiē yìnhuā) e stampa a corrosione (3. 拔染 印花 bárăn yìnhuā): entrambe prevedono la successione delle fasi di stampa, asciugamento e lavaggio (richiedendo spesso l'intervento del vapore); tuttavia mentre la prima si applica su toni bianchi o pastello e progressivamente rilascia la tinta fino ad ottenere un duplicato del disegno originale, la seconda utilizza particolari riducenti (18. 还原剂 huányuánjì) per corrodere il colorante della tintura nelle parti stampate, ottenendo delle figure bianche (Di Girolamo, 2013a, p. 19). Stampa transfer: specifico per le fibre sintetiche, prevede il trasferimento del motivo decorativo dalla carta al tessuto, grazie all'intervento dei trattamenti di calandratura (61. 轧光 yàguāng) e sublimazione (51. 升华 shēnghuá). Il colorante a questo punto diventa gas e, in un tempo che va dai 18 ai 25 secondi, 89

90 riesce ad essere assorbito completamente ed in modo permanente dal tessuto (Di Girolamo, 2013a, p. 20). Stampa di lamine metalliche: una pellicola o una lamina metallica aderisce al tessuto che risulterà così più brillante, lucente e meno incline all'usura (Di Girolamo, 2013a, p. 20). Stampa digitale (53. 数码冲印 shùmăchōngyìn): tale metodo permette di depositare sul tessuto un'esatta quantità di inchiostro, senza eccessi né sprechi. La miscela di colorante in soluzione acquosa viene rilasciata direttamente sul tessuto in modo da riprodurre il disegno originale. Al termine si effettuerà il lavaggio del tessuto (Baglio, 2007, p. 10). Fig. 28 Stampa digitale (Magni, 2015, p. 27) Il colore viene fissato alla fibra; si procede poi all'eliminazione dell'acqua che può avvenire, ad esempio, per mezzo di centrifuga (35. 离心分离机 líxīn fēnlíjī) o spremitura (63. 压榨 yāzhà). Infine si passa all'asciugatura che non solo fissa ulteriormente il colore ma permette inoltre al tessuto di raggiungere una maggiore stabilità dimensionale. Macchinario di largo impiego in questa fase è la cosiddetta rameuse (32. 拉幅机 lāfújī) che con un trattamento termico assorbe l'umidità presente (Magni, 2015, p. 28). 90

91 5.2.4 Fase 4: Finissaggio Lo stadio finale di finissaggio consiste nella rifinitura del tessuto con la modifica visiva e tattile della superficie e l'attribuzione di particolari proprietà chimico-meccaniche che lo rendono ottimale per l'uso finale a cui è destinato. Al termine del processo di lavorazione, il prodotto potrà presentare, ad esempio, le seguenti caratteristiche: idrorepellenza, resistenza alla lacerazione, al pilling (44. 起球 qĭqiú), nonché proprietà antimacchia, antipiega, antimuffa (11. 防霉性 fángméixìng) ed antistatiche, influenzando la mano (52. 手感 shŏugăn). Tale fase conclusiva include innumerevoli trattamenti; tuttavia la selezione di alcuni di essi per ciascun tessuto è determinata principalmente da due varianti: la natura della fibra e l'utilizzo finale del prodotto. Lo strato tessile sottostante (fiocco, filato o tessuto) determina inoltre la tipologia dei mezzi impiegati nella lavorazione che possono essere meccanici, chimici o è possibile ricorrere alla combinazione dei due (Baglio, 2007, p. 11). Il finissaggio meccanico (26. 机械整理 jīxiè zhĕnglĭ) sfrutta alcuni principi fisici quali la frizione, la pressione e la temperatura (Baglio, 2007, pp ). Tra i principali trattamenti di finissaggio meccanico che operano mediante procedimenti di natura fisica, intervenendo principalmente con modifiche alla superficie ricordiamo i seguenti: Bruciapelo: la peluria superficiale viene bruciata con una fiamma ossidante (si veda cap. 5, paragrafo 5.2.1); Calandratura: prevede il passaggio del tessuto in due o più cilindri surriscaldati per azione di olio, vapore o elettricamente, o fortemente pressati uno contro l'altro. Si ottiene così un tessuto assottigliato, brillante, liscio e con una maggiore copertura, nonché un miglioramento della mano (Di Girolamo, 2013a, p. 5). 91

92 Fig.29 Calandratura (Di Girolamo, 2013a, p. 5) Garzatura (43. 起毛 qĭmáo): il trattamento prevede un sollevamento della peluria superficiale del tessuto tramite un'azione esercitata da una serie di aghi posti su dei cilindri in movimento. Si tratta della tipica lavorazione effettuata per la produzione di coperte di lana e plaid o capi d'abbigliamento in fustagno e flanella. (Baglio, 2007, p. 12; Di Girolamo, 2013a, p. 8). Cimatura (21. 剪毛 jiănmáo): la peluria sollevata durante la garzatura viene qui tagliata con delle lame fisse e rotanti ad altezza desiderata in modo tale da ottenere un effetto di superficie liscia o dei disegni a rilievo, conferendo al tempo stesso un aspetto uniforme (Di Girolamo, 2013a, p. 5). Fig.30 Garzatura (Di Girolamo, 2013a, p. 8) 92

93 Fig.31 Cimatura (Di Girolamo, 2013a, p. 5) Lucidatura (37. 抛光 pāoguāng): viene considerata un'operazione di calandratura la cui finalità consiste nel conferire brillantezza e lucidità al tessuto, grazie ad una patina riscaldata ottenuta da una soluzione di amido, colla o gomma. (Di Girolamo, 2013a, p. 10; Baglio, 2007, p. 12). Goffratura (31. 拷花 kăohuā): consiste nell'incidere dei motivi in rilievo sulla superficie del semilavorato. La goffratura trova largo impiego in molteplici settori, anche esterni a quello del tessile-abbigliamento; caratterizza infatti prodotti quali sottili strati di alluminio (carta stagnola, rivestimenti per cioccolatini e dolciumi in genere), fazzoletti, tovaglioli, carta da parati, lamiere ad uso esterno ed interno eccetera (Bortolazzi, 2013, p. 4). In altri casi, invece, si ricorre a sostanze chimiche, frequentemente a contatto con soluzioni di vapore acqueo con il fine di alterare le caratteristiche proprie del prodotto finito (Magni, 2015, p. 29). I trattamenti ricorrenti facenti parte di tale categoria sono la calandratura ad umido, il decatissaggio (70. 蒸呢 zhēngní) e la follatura (56. 缩绒 suōróng). La calandratura ad umido opera allo stesso modo e con le medesime finalità della già citata calandratura a secco (15. 干洗 gānxĭ) con l'unica differenza che sfrutta l'azione del vapore acqueo (si veda cap. 5, p. 91). 93

94 La follatura viene effettuata sulle fibre di lana e similari. Si modifica la superficie del tessuto ed anche la struttura interna, conferendo al prodotto finito peculiari proprietà di morbidezza, resistenza e compattezza (Ricci, 2012). A causa delle ripetute compressioni meccaniche, le fibre tendono all'infeltrimento (68. 毡缩性 zhānsuōxìng) e conseguentemente ad aggrovigliarsi e compattarsi, mostrando un rientro del tessuto. La disposizione che viene a formarsi potenzia la resistenza alla trazione (33. 拉力 lālì) del capo finito (Di Girolamo, 2013a, p. 8; Ricci, 2012). Il macchinario utilizzato è il cosiddetto follone (40. 漂洗机 piăoxĭjī), disponibile in due versione: a martelli e a cilindri. Il primo è costituito da un contenitore a pareti mobili, all'interno del quale si pone il capo da follare e la soluzione liquida che interverrà sulla fibra grazie a continue compressioni da parte di martelli che pressano il tessuto sia nel verso della lunghezza sia in quello dell'altezza (Ricci, 2012). Il follone a cilindri, invece, è costituito da una struttura a due o più cilindri sovrapposti e a stretto contatto uno contro l'altro. Il tessuto, precedentemente impregnato di una soluzione specifica, piegato e cucito fino a formare un nastro continuo, passa loro attraverso subendo una forza pressante nel verso della lunghezza (Ricci, 2012). I moderni macchinari permettono la contemporaneità dei trattamenti di follatura e lavaggio. Fig.32 Macchinario per follatura e lavaggio rapido dotato di quattro canali con cilindri in legno (Turboflex Rope Milling & Scouring) 94

95 Altra operazione di finissaggio è il decatissaggio, tipico delle fibre in lana ma applicabile a tutti i tipi di tessuto. Tramite questo trattamento è possibile stabilizzare le dimensioni del tessuto, conferendo morbidezza e volume (Di Girolamo, 2013a, p. 7). Vi sono tre principali metodi di decatissaggio: a secco: il tessuto viene inumidito dal vapore e poi viene bruscamente raffreddato; potting (72. 煮呢 zhŭní): il tessuto viene immerso in acqua bollente; in seguito viene irrorato di vapore ed infine di colpo raffreddato; in continuo (34. 连续 liánxù): il meccanismo risulta assai più complesso. Il tessuto viene compresso da un grande cilindro forato e da un tappeto di feltro (67. 毡 zhān) compatto; durante il percorso subisce trattamenti di vapore erogato da bocchette poste sulla parte inferiore del complesso per poi venire raffreddato con getti d'aria. (Di Girolamo, 2013a, p. 7) Fig.33 Decatissaggio in continuo sotto pressione (Di Girolamo, 2013a, p.7) 95

96 Il finissaggio chimico (19. 化学整理 huàxué zhĕnglĭ) attribuisce al tessuto e al prodotto finito specifiche caratteristiche altrimenti impossibili da ottenere con il solo procedimento meccanico. Intendiamo, ad esempio, attributi quali una maggiore stabilità dimensionale piuttosto che composizioni e strutture studiate per potenziare le capacità prestazionali del capo finito (Baglio, 2007, p. 13). Ciò è possibile grazie all'intervento di particolari prodotti di diverso genere: naturali (colle, grassi, ) artificiali (amidi e cellulose modificate), sintetici (termoindurenti, reattanti, sostanze termoplastiche, ) (Baglio, 2007, p. 13). L'applicazione sui tessuti avviene attraverso molteplici procedimenti: tra tutti citiamo il foulardaggio (25. 浸轧 jìnyà) e la spalmatura (57. 涂层 túcéng). Il primo indica il trattamento mediante il quale il tessuto si impregna di colorante o altri prodotti (resine, ammorbidenti eccetera), in procedimenti a ciclo continuo. Il macchinario, chiamato appunto foulard, è formato da due o più cilindri dotati di un certo rivestimento, da strumenti allargatori e tenditori ed infine da una vasca contenente la soluzione impregnante (Merlino, 1999, p. 73). La qualità di tale operazione è determinata da più fattori: è fondamentale, ad esempio, che il tessuto abbia subìto un appropriato pre-trattamento così da raggiungere un'ottimale capacità di assorbenza; il grado di impregnazione (24. 浸染 jìnrăn) e di conseguente spremitura sono inoltre altri fattori essenziali per ogni operazione di foulardaggio e per quelle successive; in aggiunta va posta massima attenzione sulla quantità di bagno trattenuta che dev'essere proporzionata al peso del tessuto (Merlino, 1999, p. 74). La spalmatura invece viene impiegata per la produzione di capi sportivi e tecnici ad alte prestazioni con qualità di idrorepellenza, o per quei prodotti in finta pelle, o ancora per la realizzazione di tende e non solo (Wulfhorst, 2001, p. 239). Generalmente tale trattamento può essere applicato su qualsiasi tessuto e tessuto non tessuto, conferendo sia rivestimenti ultrasottili che spessori assai più pesanti (Di Girolamo, 2013a, p. 16). L'operazione di spalmatura consiste nell'applicare uno strato di resine o pellicole spal- 96

97 mabili sul tessuto, il quale passa, in genere, prima attraverso dei polimeri e dei meccanismi con lame particolari, poi all'interno di un forno riscaldato per la fissazione ed infine si stende su un canale di asciugatura per poi avvolgersi nei successivi cilindri (Di Girolamo, 2013a, p.16; Wulfhorst, 2001, pp ). Vi sono più metodi di spalmatura: quello diretto e quello indiretto. Quest'ultimo opera per mezzo di un supporto cartaceo ed è più adatto per i capi in maglia e i tessuti elastici, poiché la tensione di trazione non risulta troppo aggressiva, come potrebbe dimostrarsi invece durante la spalmatura diretta (Wulfhorst, 2001, p. 240). Fig.34 Principali meccanismi di spalmatura (Di Girolamo, 2013a, p. 16) Prima di concludere, è senza alcun dubbio doveroso citare il trattamento detto "laminazione" (4. 层压 céngyā). Trattasi di un'operazione per mezzo della quale si applica una lamina sottile sulla superficie del tessuto, già stampato con adeguate resine adesive; così facendo l'applicazione avviene in modo uniforme o può distribuirsi seguendo il disegno previsto (EuroTex srl High Tecnology Textile). Come sottolineato dal CEO, Alessandro Ferrari, 16 l'azienda Cape Horn (si veda il capitolo 4) deve il successo di molti dei suoi capi d'abbigliamento al trattamento della laminazione, il quale permette di ottenere prodotti in diverse colorazioni, con tinte cromatiche metallizzate, riconoscibili per una spiccata brillantezza. Tale procedimento 16 Informazioni raccolte durante le interviste da me rivolte al CEO dell'azienda Cape Horn, Alessandro Ferrari, nelle seguenti date: ,

98 indiscutibilmente migliora l'aspetto estetico del prodotto finito ma ne potenzia inoltre le capacità prestazionali quali, per esempio, la resistenza alla trazione e la forza di idrorepellenza. Fig. 35 Capospalla Cape Horn con laminazione (Cape Horn) A completare il quadro relativo al finissaggio chimico si pone inoltre un'ultima operazione, ovvero il particolare trattamento al plasma (8. 等离子体处理 dĕnglízĭtĭ chŭlĭ). Esso si limita a modificare gli strati più esterni e superficiali, non intervenendo sulle caratteristiche meccaniche né sulle proprietà di massa del materiale (Di Girolamo, 2013a, p. 12; Baglio, 2007, p. 14). Il tessuto subisce dei cambiamenti a livello fisico, con miglioramenti alla rugosità (7. 粗糙度 cūcāodù) propria, e a livello chimico con modifiche derivate da una riorganizzazione della struttura molecolare di superficie (Baglio, 2007, p. 14). Tale trattamento appare un'ottima soluzione per tutti quei tessuti difficilmente compatibili con le altre operazioni di finissaggio, vantando di un limitato utilizzo di sostanze chimiche e per questo causa di un più contenuto impatto ambientale (Di Girolamo, 2013a, p. 12). L'amplificazione dell'energia superficiale del tessuto permette la rimozione totale delle sostanze chimiche, le quali racchiudono quantità di solvente e sono necessariamente presenti per inumidire la superficie (Baglio, 2007, p. 16). Il vantaggio maggiore e più ricercato del trattamento al plasma consiste nell'ottenere un prodotto antimacchia, antistatico (29. 抗静电剂 kàngjìngdiànjì) e resistente alla 98

99 delaminazione (14. 分层 fēncéng), quest'ultima peculiarità di molti tessuti di uso comune, quali poliestere, kevlar (28. 凯夫拉 kăifūlā), tessuto non tessuto (59. 无纺布 wúfăngbù) ed altri (Baglio, 2007, p. 16). Fig.36 Non tessuto prima e dopo aver subìto il trattamento al plasma (Baglio, 2007, p. 15) Fig.37 Fibra di seta prima e dopo aver subìto il trattamento al plasma (Baglio, 2007, p. 15) 99

100 5.3. Normative ed iniziative relative alla problematica ecotossicologica nei processi di nobilitazione I trattamenti finora descritti se da un lato contribuiscono alla realizzazione di prodotti esteticamente apprezzabili e ad alte capacità prestazionali, dall'altro utilizzano macchinari e sostanze potenzialmente pericolosi per l'ambiente e per la salute dell'uomo. I problemi più evidenti consistono nella quantità delle acque reflue e nel volume delle sostanze chimiche in esse presenti. Ad aggravare la situazione vi sono poi le emissioni atmosferiche, i fumi e gli odori, o ancora il carico di rifiuti ed il consumo energetico (Integrated Pollution Prevention and Control (IPPC). Reference Document on Best Available Techniques for the Textiles Industry, 2013, p. 2). Innumerevoli sono le sostanze inquinanti e tossiche che vengono rilasciate: tra tutte ricordiamo, ad esempio, la formaldeide, coinvolta nella gran parte dei procedimenti di nobilitazione (dalla stampa all'asciugatura, dalla tintura al finissaggio eccetera), ed è una possibile causa di irritazione alle vie respiratorie, di dermatiti e viene considerata potenzialmente cancerogena (Il futuro del tessile. Guida ad una produzione libera da sostanze tossiche e dannose, p. 8). Tale sostanza preoccupa molti Paesi europei ed extra-europei e così, da anni, vengono emanate diverse normative: a dimostrazione di ciò, la Repubblica Popolare Cinese regola l'utilizzo della formaldeide con i seguenti codici: "National General Safety Technical Code for Textile Products GB "; "National Standard of the P.R.C., Leather and Fur-Limit of Harmful Matter GB " (Il futuro del tessile. Guida ad una produzione libera da sostanze tossiche e dannose, p. 9). In linea generale, i problemi di natura eco-tossicologica si presentano soprattutto nelle fasi di stampa, tintura e finissaggio, laddove quindi si vanno a modificare maggiormente le superfici e le strutture dei tessuti lavorati con l'ausilio di sostanze chimiche. 100

101 La rilevanza sempre maggiore di tale questione e la focalizzata attenzione posta da parte di aziende e governi trova più spiegazioni: primo fra tutti il costo della produzione, con incrementi dovuti allo smaltimento delle sostanze di scarto nel rispetto dell'ambiente e delle normative in vigore; la preoccupazione si lega poi al dover osservare parametri di qualità sempre più rigidi, per non aggravare quello che da anni è l'"allarme inquinamento"; infine il tema non può essere ignorato dalle imprese, le quali devono impegnarsi per una corretta commercializzazione dei prodotti, così da evitare di compromettere reputazione e bilancio aziendale (Il futuro del tessile. Guida ad una produzione libera da sostanze tossiche e dannose, p. 3). I problemi di natura eco-tossicologica legati alla nobilitazione tessile vengono affrontati su due piani: il primo è quello basato sulle normative cogenti, il secondo fa leva sul cosiddetto "livello virtuoso", impostato su azioni volontarie o da esigenze di mercato, sempre nel rispetto delle leggi del primo livello (Baglio, 2007, p. 18). Le direttive europee in materia tessile regolano l'introduzione nei mercati di quelle sostanze e di quei prodotti definiti pericolosi in tutti gli Stati membri ed emanano delle normative atte a tutelare il consumatore (Baglio, 2007, p. 19). Particolarmente rappresentativo è il Regolamento CE n. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un'agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE (Regolamento CE n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, p. 1). Tale Regolamento fornisce un elenco dettagliato delle sostanze soggette a restrizione e/o autorizzazione, nel pieno rispetto del principio di libera circolazione e stabilisce disposizioni comuni, applicabili anche dalle PMI nella maniera più accessibile. L'obiettivo consiste nel tutelare l'ambiente, i lavoratori ed i consumatori, incoraggiando 101

102 la competitività e l'innovazione, grazie allo sviluppo di alternative economicamente valide e maggiormente sensibili alle tematiche di protezione della salute umana e di tutela ambientale. A tal fine, si consiglia l'istituzione di un supporto tecnico (specialmente all'interno delle PMI) che assicuri un'attenta valutazione dei possibili pericoli collegati alle sostanze elencate e ne garantisca la supervisione e la gestione (Regolamento CE n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, pp. 2-7). L'articolo n. 33, inoltre, dichiara l'obbligo da parte del fornitore di informare il destinatario o il consumatore delle sostanze presenti all'interno del prodotto per assicurarne la sicurezza e la trasparenza. Il cliente stesso può richiedere tali informazioni che riceverà gratuitamente entro quarantacinque giorni dal momento della domanda (Regolamento CE n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, p. 36). Le disposizioni presenti nel Regolamento sono valide per tutti i Paesi membri e regolano anche i carichi esportati al di fuori della Comunità europea (Regolamento CE n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, pp. 2-7). Per una maggior trasparenza nel rispetto del consumatore, per una corretta competizione di mercato e per la tutela della salute e dell'ambiente, Parlamento europeo e Consiglio pubblicano inoltre il Regolamento n. 1007/2011 relativo alle denominazioni delle fibre tessili e all'etichettatura e al contrassegno della composizione fibrosa dei prodotti tessili (Regolamento (UE) n. 1007/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, p. 1). Il citato Regolamento prevede la precisa indicazione della composizione delle fibre tessili, sottolineando la messa in circolazione nel solo caso in cui esse siano contrassegnate ed etichettate correttamente, ovvero secondo le modalità presenti nel documento. Così facendo si assicura una corretta commercializzazione interna, fornendo al consumatore accurate informazioni sul prodotto. Inoltre, le indicazioni sulla composizione fibrosa, necessariamente presenti su ciascun prodotto, permettono alle autorità di vigilanza di assicurarne la conformità agli standard previsti, con un margine di tolleranza minimo e ben definito (Regolamento (UE) n. 1007/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, pp. 4-9). 102

103 Parallelamente alle riportate normative europee, ricordiamo le seguenti norme emanate dalla Repubblica Popolare Cinese: in primo luogo la già citata "National General Safety Technical Code for Textile Products GB ", la quale definisce i requisiti chimici di sicurezza dei prodotti tessili commercializzati all'interno del territorio nazionale; segue la norma "Textiles Identification of fiber content", attenta alla corretta etichettatura dei prodotti tessili e alla relativa corrispondenza con i criteri di accettabilità dichiarati (UIP Progetto: Cina Ecotox). Ad affiancare il primo livello di leggi cogenti, abbiamo poi azioni volontarie da parte di aziende o associazioni che cercano di affrontare e contenere il problema ambientale e tossicologico derivato dalla produzione di materiali tessili. Tra le più note iniziative vi è l'istituzione del marchio europeo Eco LABEL, nato nel 1992 e contraddistinto dalla figura di una margherita stilizzata (Fig.38). Eco LABEL promuove prodotti e servizi che abbiano un minor impatto ambientale possibile ed orienta i consumatori verso scelte di consumo sostenibili (Tarisciotti, 2001, p. 6). Fig.38 Marchio europeo Eco LABEL (Tarisciotti, 2001, p. 11) L'adesione è volontaria e la domanda di contratto viene seguita dalla verifica di conformità ai requisiti ecologici e prestazionali Eco LABEL. Sono escluse alcune categorie, quali alimenti, bevande e prodotti farmaceutici (Tarisciotti, 2001, pp ). Il settore tessile, al contrario, è costantemente monitorato; le sostanze chimiche utilizzate e le conseguenze derivate dai processi di lavorazione industriale sulla salute del consumatore e sull'ambiente sono tra le maggiori preoccupazioni del marchio. 103

104 Di fondamentale importanza vi è poi il marchio Oeko-Tex (Oeko-Tex ) (Fig. 39). Trattasi di un'associazione internazionale che vanta di una collaborazione di quattordici istituti di ricerca europei e giapponesi, tutti nel settore tessile, operanti in oltre 40 Paesi (Oeko-Tex ). Il marchio nasce per garantire ai consumatori controlli di qualità sui prodotti presenti in commercio, di verifica relativa alle sostanze nocive impiegate durante il processo produttivo (specialmente durante le fasi di nobilitazione tessile) e per assicurare specifiche capacità prestazionali del capo. Oggi l'associazione si impegna ancor più duramente nell'accertamento delle sostanze chimiche utilizzate e a contatto con il consumatore, affiancando anche operazioni per una migliore logistica nei servizi forniti al cliente. L'attività fa riferimento alla cosiddetta certificazione "Oeko- Tex Standard 100", riconosciuta a livello internazionale e sulla quale si basa l'analisi delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti (Oeko-Tex ). Fig.39 Marchio Oeko-Tex (Oeko-Tex ) Nonostante siano svariate le normative cogenti e le azioni volontarie legate alla problematica eco-tossicologica in ambito tessile, non è sempre facile reperire, ma soprattutto gestire, il carico di informazioni tecniche e giuridiche relative alla sicurezza del prodotto, del consumatore e dell'ambiente. A tal proposito vi sono alcuni strumenti ausiliari per facilitare la gestione delle informazioni. Si può far riferimento, ad esempio, al Rapporto Tecnico UNI/TR "Gestione della sicurezza dei prodotti tessili, di abbigliamento, arredamento, calzaturiero, in pelle ed accessori" (Standard Qualità Aprile 2014 Rel , 2014, p. 69). Quest'ultimo fornisce un quadro completo sulle sostanze chimiche presenti nei prodotti trattati e messi in commercio, definendo tutte 104

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